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Anonimo.
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8 Marzo 2016 alle 13:26 #23913
alberto
PartecipantePierre Allain nasce a Grenoble nel 1904 e all’età di sei anni si trasferisce con la famiglia a Parigi.
Nel 1923 comincia a frequentare le montagne dell’Isere rivelando di possedere un talento naturale per l’arrampicata pura.
Sebbene in quegli anni la conquista di una cima rappresenti la massima, se non l’unica espressione di Alpinismo, la sua straordinaria modernità fa sì che egli anteponga la bellezza del gesto e la pura difficoltà alla retorica ridondante delle cime.
L’importante è arrampicare in modo pulito e totalmente in libera.
Parigi è lontana dalle montagne “vere” ma 90 kilometri a sud dalla capitale c’è la foresta di Fontainebleau, disseminata di blocchi di arenaria sui quali i giovani arrampicatori si muovono su difficoltà straordinarie: salgono spigoli, compiono traversate, concatenano i vari blocchi creando veri e propri circuiti dalle più disparate difficoltà e contrassegnati da colori diversi a seconda dell’impegno richiesto.
Questi giovani sono i Bleausards, fondatori nel 1924 del “Groupe de Bleau” che era succeduto al “Groupe des Rochassiers” nato nel 1907.
Il Groupe de Bleau è estremamente selettivo, per entrarvi a farne parte è necessario saper arrampicare BENE, una rigida gerarchia, fondata sulle effettive capacità ed anzianità, impone un percorso “accademico” che prevede diversi passaggi di grado.
A tal proposito Renè Desmaison, nel suo libro “La montagna a mani nude”, scrive:
Il principiante veniva definito “Pauvre Corniaud” (povero citrullo) e diventava quindi, man mano che progrediva “Corniaud”.
Da “Corniaud” diventava “Tendre espoir popofiste” (giovane speranza popofista), dal nome in gergo “popfe” della resina polverizzata che si tiene in sacchetti… Senza quella resina diventa impossibile superare certi passaggi… ”Da Tendre espoir popofiste”si diventava “Popofiste” e quindi “Lumière”.
I migliori erano “Les pures lumiere du rocher”.Quello era il tempo di uomini come Pierre Allain, Poincenot, Guy Pulet, Renè Farlet e tanti altri…
… Non dimenticherò mai il giorno in cui feci conoscenza con la roccia. Era lo spuntone più alto della foresta: la Dame Jeanne, quindici metri.
Uno scalatore, probabilmente alle prime armi come me, se ne stava appollaiato a cavallo di uno degli spigoli di quel masso: la cresta di Larchant. Dalla vetta lo assicurava il suo compagno. Gli sforzi inauditi che doveva compiere per salire pochi centimetri mi facevano girare la testa.. .Non sapevo ancora, non lo sospettavo neppure, che le rocce più difficili non sono necessariamente le più alte.Pierre Allain quindi, faceva parte dell’élite dell’arrampicata, le sue capacità erano indiscusse, ma il suo tirocinio nell’Isere aveva fatto di lui un valente alpinista su tutti i terreni.
La parete nord del Petit Dru è alta 850 metri, non troppo ripida nel primo terzo, prende slancio e verticalità degli altri due terzi.
Inoltre essendo esposta a nord è facile trovare verglas nelle fessure e nei camini, la parte alta invece è costantemente ghiacciata e il misto ripido prevale sulla roccia.
Il colonnello Ryan (quello dell’Aig. Du Plan), accompagnato dalle sue fedeli guide: i fratelli Franz e Josef Lochmatter, aveva compiuto un tentativo nel 1904, riuscendo a salire sino ad un centinaio di metri dalla Niche, gigantesca abside occupata da un piccolo ghiacciaio pensile; purtroppo le crescenti difficoltà e le condizioni della parete respinsero la cordata.
In ogni caso la porta d’accesso alla parte alta della montagna era stata svelata.
Passano molti anni senza che nessuno pensi a questa parete, l’élite dell’alpinismo degli anni trenta è concentrata sulle tre grandi pareti nord simbolo: Cervino, Eiger e Grandes Jorasses.
La nord del Petit Dru non è tra queste pur avendo tutti i requisiti per farne parte ma non va dimenticato che i Drus sono, tutto sommato, la propaggine più meridionale del massiccio dell’Aiguille Verte.
Una sorta di bella cima satellite.
Nel 1932 i ginevrini Andrè Roch e Robert Grèloz, specialisti del Massiccio del Monte Bianco e forti ghiacciatori, scendono in due giorni lungo la parete nord del Petit Dru.
Non è una discesa fatta tanto per fare ma di una vera e propria esplorazione in vista di un loro futuribile tentativo.
Parliamo di una discesa su una parete complicata, senza punti di riferimento e con il rischio di non essere più in grado di scendere o, ancor peggio, risalire.
Raymond Lambert, che troveremo giusto qui sotto, disse riguardo alla loro impresa:
“A mio avviso, un tentativo di ascensione su questa parete, richiede meno coraggio che la performance di Grèloz e Roch, per la buona ragione che in qualche modo si può sempre scendere quello che si è salito, il contrario invece non è sempre possibile”
Tra il primo e il 2 luglio del 1935, Raymond Lambert e la sua compagna Loulou Boulaz, riescono nella prima ripetizione dello sperone Croz alle Grandes Jorasses, assieme a Gervasutti e Chabod.
Qualche giorno dopo, Lambert con Dupont, Goth e Mussard attaccano la parete nord del Petit Dru.
Lambert è in gran forma, ma non si può dire lo stesso dei suoi compagni; la progressione è lentissima e sono costretti a bivaccare ancor prima di incontrare le vere difficoltà.
Il giorno seguente Lambert decide di formare un’unica cordata; l’arrampicata è decisamente fisica, un difficile e vetrato sul râteau de chèvre impegna a fondo Lambert.
I compagni ci mettono un’eternità a superare il passaggio e le ore scorrono impietosamente.
Un facile traverso a destra conduce su una piccola piattaforma, sopra la quale un liscio muro verticale, alto una decina di metri, è solcato da una buona fessura per le mani.
Lambert arrampica con un paio di pedule leggere, gli scarponi e i ramponi sono nello zaino di chi segue.
La fessura è impegnativa (oggi è data 5c), Lambert la scala di slancio senza alcuna protezione, al suo termine la parete è chiusa da due strapiombi che scoraggiano il forte scalatore.
Ma non desiste, riesce a superarli con estrema difficoltà sbuffando come un mantice, sa perfettamente che dopo la parete perde inclinazione per un paio di lunghezze di corda: è l’accesso alla rampa che porta in direzione della Niche.
Uscito dagli strapiombi, trova la rampa completamente ghiacciata.
Il terreno sarebbe un misto più divertente che difficile ma i compagni, sfiniti dalle ultime lunghezze verticali, non hanno più energie.
Si apprestano a un secondo bivacco e il giorno seguente Lambert decide di scendere.
È stato un errore strategico clamoroso: formare una cordata da quattro ha rallentato ulteriormente la già lentissima progressione ed è costata a Lambert la prima della via.
Mentre Lambert si ritirava dalla montagna, Pierre Allain e il suo compagno di sempre, Raymond Leininger, compivano la prima traversata completa delle Grandes Jorasses per la cresta Des Hirondelles fino al colle della Grandes Jorasses: una splendida e lunga cavalcata, difficile e complicata.
Il 31 luglio i due attaccano la nord del Petit Dru lungo il ben noto couloir Ryan-Lochmatter; vanno spediti come treni fino all’ostico râteau de chèvre, dove la parete sfodera le sue prime serie difese. L’ostacolo viene superato abbastanza in scioltezza nonostante presenti un’arrampicata decisamente faticosissima.
Anche la fessura Lambert è salita velocemente, e allo stesso modo i due strapiombi seguenti, entrambi indossano un paio di pedule a suola liscia ideate dallo stesso Allain.
La “varappe” modello Allain è stata in produzione per decenni e ha ispirato le moderne scarpette EB degli anni settanta-ottanta.
La cordata ha un equipaggiamento decisamente leggero: una corda di canapa da 7 millimetri di diametro lunga sessanta metri, sei moschettoni di ferro, cinque chiodi, una sola piccozza, niente ramponi, un martello ciascuno, materiale da bivacco e viveri per due giorni.
Questo fa riflettere sulle capacità di Allain e Leininger.
Superano la ghiacciata rampa che conduce alla Niche, ne percorrono il bordo inferiore in direzione di una zona di gradoni e camini, che formano il lato destro della Niche e che fanno da spartiacque tra il versante nord e quello ovest.
Arrivano su una prima piattaforma che borda il versante ovest, salgono un facile couloir di ghiaccio e blocchi fino a una seconda e comoda terrazza sempre sul bordo della parete ovest.
Qui Allain guarda giù dalla parete ovest e ne rimane impressionato, tant’è che nel suo libro “Alpinismo e competizione” scrive:
“… A destra, lo sguardo si tuffa negli abissi della parete ovest del Dru. Laggiù, la verticalità è spaventosa, interrotta soltanto di quando in quando da enormi strapiombi.
Immense pareti presentano, per cinquanta o cento metri, una superficie liscia e senza alcuna screpolatura, il perfetto esemplare dell’impossibile.
Qui l’alpinista perde i suoi diritti, solo dei pioli cementati nella roccia o qualche altro procedimento dello stesso genere gli possono essere di aiuto; ciò non sarebbe più alpinismo, ma lavoro in montagna.
Su questo piano, tutto è realizzabile, perfino una ferrovia interna a rampa elicoidale”.Di certo non poteva immaginare che 17 anni più tardi quel vertiginoso abisso sarebbe stato salito senza pioli cementati nella roccia e senza alcuna galleria elicoidale.
Allain concepiva l’arrampicata solo come libera, chiodi e staffe erano distanti da lui un milione di anni luce e la sua incredibile carriera alpinistica ne è la dimostrazione.La scalata prosegue con un susseguirsi di camini, blocchi e fessure.
Un difficile traverso di una quindicina di metri e un muro verticale conducono la cordata sul bordo superiore della Niche, le difficoltà non scendono mai sotto il V grado, con passi di mezzo grado più difficili.
Sopra ci sono due fessure parallele alte una trentina di metri, interrotte a metà da un pronunciato strapiombo e che continuano sotto forma di un vago diedro per un’altra decina di metri.
E’ quella che diventerà la fessura Allain, il tratto chiave di tutta la salita, il passaggio più difficile della catena del Monte Bianco per molti anni, un tiro di corda difficilissimo, ancor oggi dato 6a e superato da Allain con l’utilizzo di soli 4 chiodi esclusivamente d’assicurazione.
Solo 5 anni più tardi, in occasione della sesta ripetizione della via, Felix Martinetti scopre, leggermente a destra della fessura Allain, un’altra fessura dalle difficoltà sensibilmente inferiori, fessura che ha reso questa via meno selettiva e via via più ripetuta, sino a farla diventare una classica di grande impegno.
Allain era abituato alle grandi difficoltà, le due fessure parallele erano la via ideale da seguire: nette, pulite ed esteticamente perfette, per quale ragione avrebbe dovuto cercare una via più semplice?
Anche sulla parete nord delle Grandes Jorasses il grande Cassin superò una fessura strapiombante, gamba destra-braccio destro, durissima e improteggibile nel primo terzo della parete.
Bastava che traversasse qualche metro a sinistra per trovare un diedro molto più semplice e molto meno pericoloso, forse è ad appannaggio dei fortissimi la facoltà di non cercare il facile o magari di non vederlo.
Walter Bonatti, quando diciottenne ripeté la via di Cassin alle Grandes Jorasses, salì la stessa fessura e ne uscì sfinito e tremante.Quella, sembrerebbe, fu l’unica ripetizione: i forti si somigliano tutti.
La giornata volge al termine e non resta che prepararsi a un bivacco piuttosto confortevole, rimandando la salita della fessura al giorno seguente dopo un meritato riposo.
Il mattino seguente la partenza non è così di buon ora, la roccia è freddissima e Allain preferisce cominciare la scalata quando l’aria si fa più tiepida.
Le difficoltà sono subito fortissime, per progredire Allain mette in campo tutta la sua abilità di puro arrampicatore salendo ora sulla fessura di sinistra e ora su quella a destra, con metodo e testa, distribuendo lo sforzo e cercando nel difficile di riposarsi.
Nei primi metri non si protegge, dice che non ha tempo per fermarsi, finalmente pianta un buon chiodo e prosegue fino dove le fessure sono chiuse da uno strapiombo. Più o meno a metà altezza pianta un altro chiodo e si avvita letteralmente nelle fessure per trovare l’incastro migliore.
Esce dallo strapiombo, di fessura ora ce n’è una sola sul fondo di un vago diedro verticale; le difficoltà non accennano a diminuire, riesce a riposarsi e a piantare altri due chiodi sfruttando piccoli appoggi sulla faccia sinistra del diedro.
All’uscita la verticalità diminuisce e dei relativamente facili gradini consentono di raggiungere un ottimo punto di sosta.
Con la salita di questa fessura, il limite della pura difficoltà su roccia nel Massiccio venne abbondantemente spostato in avanti.
Su nessuna delle vie fino ad allora compiute vennero mai superati passaggi così duri.
La scalata continua su terreno tecnicamente più semplice ma sempre piuttosto faticoso, un susseguirsi di scaglie verticali da superare in opposizione e una fessura con l’uscita strapiombante ma per fortuna provvista di ottimi appigli all’uscita, fino ad arrivare su una discreta cengia innevata.
Da questo punto sarebbe possibile proseguire direttamente fino alla spalla sud-ovest della montagna e da lì continuare più facilmente per la via normale.
Allain non è uomo alla ricerca di scorciatoie, la sua via deve arrivare in cima al Petit Dru e non sulla spalla.
Comincia a traversare verso sinistra in pieno versante nord, da questo punto, a parte eccezionali condizioni, la salita diventa mista: roccia, ghiaccio neve e verglas, sempre molto difficile data la forte inclinazione della parete, con passaggi molto impegnativi scarsamente proteggibili.
È un susseguirsi di camini ghiacciati e colatoi fino a una prima cengia di quarzo a 150 metri dalla vetta.
Ancora tre lunghezze analoghe portano alla seconda cengia di quarzo dove un tunnel naturale (grotte à cristaux) mette in comunicazione il versante nord con quello sud.
Ancora una volta Allain non cede alla tentazione di rendersi la vita semplice, sale gli ultimi settanta metri per un camino ghiacciato che diventa via via meno inclinato fino alla vetta del petit Dru.
E’ il tardo pomeriggio del primo agosto 1935.
Un’impresa straordinaria, portata a termine con uno stile impeccabile a testimonianza del valore di un arrampicatore del calibro di Pierre Allain.
dru-nordforwebLa via venne ripetuta l’anno seguente da Lambert e Boulaz con un bivacco e, sempre con un bivacco, la seconda ripetizione nel 1937 ad opera di Giusto Gervasutti e Lucien Devies.
Per la prima invernale devono passare 29 anni, in due giorni (8 e 9 gennaio 1964) le guide Gèrard Devouassoux, Yvon Masino e George Payot vengono a capo della via.
La prima solitaria è di Daniel Monaci il 17 e 18 agosto 1971 ed è interessante notare come la prima solitaria di questa parete sia successiva a quella della parete ovest, tecnicamente più difficile, sulla stessa montagna.
Nel corso degli anni altre vie sono state aperte su questo versante, alcune terminano sul petit Dru e altre sul Grand Dru.
Nessuna di queste ha mai goduto di grande popolarità, le difficoltà sempre elevate, le condizioni proibitive e la roccia a tratti mediocre scoraggiano le eventuali ripetizioni.
Tra queste le più “conosciute” sono: la via dei fratelli Lesueur al Grand Dru del 1952, la via delle Guide (Feuillarde-Jager-Paris-Seigneur) sul Petit Dru aperta in una settimana nel febbraio del 1967 e per ultima c’è una quasi sconosciuta e sicuramente mai ripetuta via dei Polacchi salita proprio da J. Kukuzcka e W. Kurtiyka in sei giorni nell’estate del 1974
Parete nord: 1. Via dei polacchi (tracciato approssimativo); 2. Via Lesueur; 3. Via delle Guide; 4. Allain-Leininger. Foto di Frédéric Bunoz
Attachments:8 Marzo 2016 alle 14:03 #23914nonno
Partecipanteche dire grande e bella parete su di una magnifica cima “cimosa” quale i dru che da qualunque parte si guardino suscitano ammirazione e rispetto…..ed è logico che li si cimentassero alpinisti d’ammirare e rispettare :silly: E bravo Albe che ci fai rivivere queste storie ;)
8 Marzo 2016 alle 16:22 #23918fabrizio
Amministratore del forumCultura alpinistica allo stato puro!
Bravo Albe, letture davvero piacevoli!8 Marzo 2016 alle 20:28 #23919Anonimo
Ospiteeheheh…il buon Allain.
un’altra sua bella classica e’ invece a sud…
nonostante l’unto (c’ha piu’ di 70anni!!!) vale sempre la pena provare il suo ”primo” 6a di blocco (un solido 6c) al Bas Cuvier (a Bleau…che graziaddio e’ piu’ vicino di 90Km a PariGGi)…giusto per capire cosa fossero capaci di scalare i nostri nonni…tanto per restare acidi…
1) la ovest del piccolo dru (almeno la prima)…la risolsero col perforatore…altro che by fair means.
2) EB, ”Lumieres des rochers”, alta borghesia parigina (e chamoniarda…e tetesca…e torinese)…conosco un metalmeccanico che gli ando’ in culo e si porto’ a casa la piu’ ambita senza tante storie ;)
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