Orobie, salita del Canale Tua al Pizzo Redorta – di Giovanni Guidi

A maggio con un amico sono andato sulle Orobie per salire il Canale Tua, al Pizzo Redorta. È stata una piccola avventura visto che nessuno dei due era mai stato in quella zona. La preparazione alla salita comunque è stata puntigliosa: acqua, cibo per due giorni, vestiario pesante, studio ossessivo dell’attacco del canale e della via, con tanto di foto e telefonate al gestore del rifugio. A cause degli impegni lavorativi siamo dovuti partire nella tarda mattinata, destinazione Valbondione (Bergamo). Alle 17 siamo in paese e ci incamminiamo per quella che è la prima tappa del nostro percorso, il Rifugio Coca: dormiremo nel locale invernale, lasciato sempre aperto, mentre per quanto riguarda l’acqua dobbiamo ringraziare il gestore, il quale ci ha lasciato la fontana aperta. Il dislivello è di 1000 metri circa e, carichi come siamo, arriviamo a destinazione belli provati dopo due ore e trenta. Qualche stambecco saltella intorno e vediamo anche un camoscio. La vallata è tetra, caratterizzata da rocce scure e torrenti d’acqua scrosciante tutt’intorno. Il locale è spartano, niente luce, solo brande e coperte. Prepariamo la nostra cena con già indosso pile e gusci: il freddo inizia a pungere. Il pasto non è di qualità eccelsa, ma cerco di mangiare e bere il più possibile, visto che il giorno dopo ci attendono altri 1000 metri di ghiaccio e neve. Ci svegliamo alle 3,30: il mio compagno di cordata, Alessandro, non ha dormito granché, mentre io ho dormito come un sasso, anche grazie alla massiccia cena. Colazione zuccherosa e via con le frontali in testa. Lo zero zermico è a 2150 metri, l’attacco del canale, che individuiamo subito, è a 2300. Il versante orientale del Redorta è maestoso e tutt’intono abbiamo vette innevate, sulle quali sovrasta la mole del Pizzo Coca. Il canale è 600 metri circa, poi ci separeranno soltanto 130 metri circa dalla vetta. La neve è compatta, ma non ghiacciata, e i ramponi attaccano bene: inizio io come primo su pendenze che vanno dai 45° ai 50°. Le pareti ai nostri lati, soprattutto quella di destra, sono imperiose e ogni tanto fischia qualche sasso: questo è il pericolo numero uno del canale e affrettiamo il passo ancora slegati. Il primo saltino lo superiamo senza problemi (70° circa), mentre il secondo necessita di una sosta: Ale va da primo e superiamo il muro di ghiaccio (80°), fragile, che ci ostacolava. La giornata è stupenda, ma la salita ancora lunga. Fino alla forcella finale andiamo in conserva e io, nuovamente primo, metto e tolgo un paio di fittoni tra noi. Le difficoltà tecniche sono finite, ora contano le gambe e i polmoni. La vista è magnifica e la salita alla vetta è una bella ramponata tranquilla, ma per i crampi, scopro di avere muscoli che nemmeno conoscevo. La discesa, come al solito, sarà la parte più faticosa. Prendiamo un canale sul versante ovest, faccia a monte lo scendiamo per oltre un centinaio di metri. Poi nevai infiniti, fino al Rifugio Brunone. Qui mangiamo come lupi; un signore gentilissimo si offre di accompagnarci giù fino a Fiumenero, da dove è partito. Grazie a lui, il signor Giovanni di Clusone, ci eviteremo i sei chilometri di asfalto per tornare alla nostra auto. Ma prima di Fiumenero di chilometri da fare ce ne sono ancora molti. I piedi sono a pezzi, spesso ci fermiamo per riprendere le forze mentre lui, Giovanni, paziente ci aspetta e ci parla di stambecchi, storie di quelle montagne e di quelle vallate. Ci separiamo all’auto; ci attendono ancora quattro ore prima di essere a casa. 

Di Giovanni Guidi