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Bellissima escursione lungo il crinale dell’Appennino tosco – emiliano seguendo sempre il sentiero CAI n.00: va effettuata, però, con due autovetture di cui una va lasciata alla Doganaccia dopo averne prima lasciata un’altra al Passo dell’Abetone; si può anche fare con una sola auto usufruendo del mezzo pubblico di trasporto ma l’esperienza da me avuta non è stata troppo positiva per cui lo sconsiglio. Comunque per chi lo volesse fare con una sola auto consigliamo di lasciarla a Cutugliano, di prendere la funivia per la Doganaccia (sempre che sia in funzione e lo è raramente) e al ritorno usufruire degli autobus del Copit per tornare dall’Abetone a Casotti di Cutigliano. Il luogo di partenza dell’itinerario si trova alla Doganaccia: credo che tutti sappiano dove si trova questa località, ma per i pochi che non lo sapessero proviamo a spiegarlo brevemente; anzi tutto chi proviene da Pistoia, Prato e Firenze deve prendere la Statale 66 da Pistoia in direzione Abetone, fino a che non si giunge il località La Lima, dove si incrocia la statale del Brennero proveniente da Lucca; qui svoltiamo a destra fino a giungere a Casotti dove svoltiamo ancora a destra per Cutigliano, oltrepassiamo poi questo grosso borgo e proseguiamo seguendo le indicazioni per Melo e Doganaccia. |
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Come già detto in precedenza, questa escursione è una delle più classiche di tutto l’Appennino: come tutti i percorsi di crinale l’itinerario è molto vario e panoramico, con belle visioni sulle sottostanti vallate del Pistoiese e del Modenese, ma è anche abbastanza lungo anche se non presenta particolari difficoltà. Prima di parlare del percorso vero e proprio, come sempre facciamo alcuni riferimenti sulla storia, sulla toponomastica, sulla flora e sulla fauna delle zone che andremo ad attraversare. Fra i luoghi degni di nota da un punto di vista storico e toponomastico ricordiamo il Monte Maiori (m. 1541), il Libro Aperto (m. 1937) e il Cervinara (m. 1716), non dimenticando di rilevare che lungo il percorso incontreremo numerosi cippi confinari in pietra serena, di forma cilindrica, risalenti alla fine del XVIII sec.: su alcuni di essi, là dove è ancora visibile, compare scolpita una M (sta per Modena) dalla parte del Modenese e una T (sta per Granducato di Toscana) dalla parte del Pistoiese; stavano ad indicare il confine fra i due Stati. |
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Il Monte Maiore o Maiori, che si incontra nella parte finale del percorso, deriva il suo nome da Maior, parola latina che indicava maggiore ma questo non è sicuramente riferito all’altezza visto che il monte con i suoi 1541 m. è relativamente basso; più probabile è che il nome si riferisse al vicino Libro Aperto e che tale nome sia stato dato a questa cima più bassa solo quando lo stesso Libro Aperto ha cambiato nome. Il effetti il toponimo Libro Aperto deriva dalla somiglianza che questa montagna ha, se la si guarda dal versante toscano, con un libro dalle ampie pagine dischiuse sul dorso, dorso che è costituito dall’alto bacino imbrifero del Rio Maggiore: non si sa, però, quando questo nome sia saltato fuori, si sa solamente che compare per la prima volta nelle carte dell’Istituto Geografico Militare alla fine del secolo scorso. In mappe di epoca settecentesca, come la Carta Vandelli del 1746, il nome viene ricordato con il toponimo di Monte Mandria e, non a caso, ancora oggi in versante toscano viene chiamato Passo delle Mandrie la Spianata o Selletta del Libro Aperto, insellatura immediatamente sottostante le due cime del Monte Rotondo (m. 1947) e del Monte Belvedere (m. 1936). |
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Cento anni più tardi, nella Carta degli Stati Estensi disegnata dal Carandini nel 1847, il monte viene identificato come Monte Rotondo e non vi è traccia alcuna della parola libro; recenti studi ipotizzerebbero la derivazione Libro Aperto da una deformazione linguistica popolare di un dativo latino Libero et Patri, sommità emergente dedicata a Libero e al Padre dove Libero sarebbe altro nome con cui si identificherebbe il dio Dionisio o Bacco e il Padre sarebbe l’effettivo padre di lui e di tutti gli dei, Giove. Ad avvalorare tale ipotesi potrebbe concorrere un documento ritrovato dal Tiraboschi, redatto in latino medioevale del 1222, sulla identificazione dei confini dei territori di Fiumalbo e delle diocesi di Modena, Pistoia e Lucca, in cui si fa riferimento, proprio in corrispondenza della posizione del Libro Aperto, di una certa Serra Libertino dalla singolare assonanza con il moderno toponimo. |
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Trattando, poi, del Monte Cervinara (m. 1716) , contrariamente a quanto si potrebbe supporre, il toponimo non fa riferimento alcuno a popolazione di cervi ma trae la sua origine da termine Cervino con il quale nel linguaggio corrente si identifica il Nardus striata, graminacea tipica degli alti pascoli appenninici fortemente degradati dall’eccessivo pascolamento: a a causa della sua coriacetà e della scarsa appetibilità, questa erba è rifiutata anche dai rustici caprini e rimane sul terreno come erba infestante. Infatti il fenomeno dell’intenso pascolamento, da sempre praticato sulle erbose groppe del crinale, ha portato ad una marcata erosione della cotica erbosa che in particolare al Colle Acqua Marcia ha portato alla luce un interessante paleo suolo con reperti di manufatti in pietra risalenti al Mesozoico, ad ulteriore testimonianza di una antichissima frequentazione antropica dell’ Alto Appennino. Di epoca ancora più antica, rinvenibili nelle formazioni arenacee – marnose di Cima Tauffi, sono le tracce fossili di altri organismi che strisciavano sul fondo di quell’antico mare a caratteristiche tropicali: queste tracce hanno un aspetto sinuoso e lucente simile alla scia lasciata dalle lumache. |
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Dal punto di vista della fauna facciamo rilevare la presenza dell’aquila reale che a volte vola sul crinale fra il Lago Scaffaiolo e il Libro Aperto, proveniente probabilmente dal vicino Orrido di Botri: la sua presenza è da attribuirsi a quella di alcune colonie di marmotte reintrodotte alla fine degli anni ’60 in alcuni tratti dell’Alto Appennino Modenese e non è raro ascoltare l’acutissimo e tipico fischio emesso dalle marmotte nel tratto Cima Tauffi – Cervinara. Fra gli altri animali di buona stazza presenti, ricordiamo daini, caprioli e mufloni, oltre ad una serie innumerevole di uccelli. Dal punto di vista della botanica, rileviamo che l’itinerario si svolge quasi esclusivamente su pascoli a cervino (Nardus stricta) e praterie a vaccinieto, bel al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea: solo nell’ultimo tratto, oltre la Serra delle Motte, il segnavia corre all’interno della Foresta dell’Abetone, ricca di grandi esemplari di abete bianco e di abete rosso alternati a faggi, aceri, frassini e pini. Tra le piante da fiore nel sottobosco spicca per il suo colore intenso l’Epilobio dai lunghi steli; nelle zone più aperte e ai limiti del bosco dominano le varie specie stagionali di genziane mentre gli anfratti rocciosi e le rupi ospitano piante grasse come le Sassifraghe e il Semprevivo dei monti. |
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Il primato per rarità va, comunque, al Rododendro ferrugineo, arbusto tipicamente alpino, che si trova sotto la vetta del Libro Aperto e costituisce la colonia più alta di tutto l’Appennino Settentrionale: è il più preziosi gioiello di tutta la flora dell’Appennino ed è protetto da apposita Legge Regionale. Dopo aver parlato abbondantemente della zone che andremo ad attraversare (e io credo che valga senz’altro la pena di avere un po’ di notizie dettagliate perché tutti sono bravi a tracciare un itinerario con tre righe e poche spiegazioni mentre noi dell’Ursea tentiamo di offrire un servizio che sia il migliore possibile) torniamo al punto di partenza del nostro itinerario che è posto alla Doganaccia (m. 1504). Lasciata l’auto ci incamminiamo sul sentiero CAI n. 6 che si snoda proprio sulla strada carrozzabile Cutigliano – Fanano e che ci conduce in 30 minuti di cammino al Passo della Croce Arcana (m. 1669): qui giunge anche la funivia che parte da Cutigliano passando anche dalla Doganaccia e da qui si dipartono alcune piste da sci per un comprensorio sciistico che in passato ha goduto anche di un po’ di successo ma che, ora, sembra in fase di declino. Lasciato sulla destra il Rifugio Manzani ci incamminiamo a sinistra lungo il sentiero di crinale, che è il CAI n. 00, attraversando la strada carrozzabile Cutigliano – Fanano diretta verso la Capanna Tassone, tanto cara al grande fungaiolo Stefano Bordin, e passando anche di fianco ad un monumento agli alpini caratterizzato da un recinto con un cippo sormontato da un’aquila di bronzo e con un pezzo di artiglieria della 1’ Guerra Mondiale. Il sentiero 00 si sviluppa su un ampio crinale giungendo alla Vista del Paradiso dal nome dell’omonimo casolare che si trova in versante toscano e scende ad una depressione nota come Piaggiacalda (m. 1667) alla quale segue una lunga sommità erbosa chiamata i Balzoni (m. 1753) : da qui si scende al Colle Acquamarcia (m. 1632), 45 minuti dalla partenza, e si supera una pozza d’alpeggio collocata al centro di questa depressione (è proprio questa che dà il nome al colle stesso). Si affronta, ora,una balza rocciosa chiamata Costiera dei Tauffi , quindi una breve discesa e con una breve salita si giunge, infine, sulla vetta della Cima Tauffi (m. 1798) 1,5 h. dalla partenza. |
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Dalla Cima Tauffi, pilastro d’angolo fra la Valle dell’Ospitale e la Val Fellicarolo, inizia il tratto più delicato di tutto il percorso, quello dove è necessario mostrare maggiore attenzione del resto del percorso: si scende, infatti, il crinale su terra e detriti in forte pendenza con il sentiero che si presenta assai infido, soprattutto in caso di pioggia. Il crinale si fa poi molto stretto con passaggi esposti sul filo di cresta noti con il triste nome di Passo della Morte ma il sentiero 00 li evita aggirandoli sulla destra in versante modenese fino a giungere alla Sella est del Monte Lancino (m. 1674) 1 h. e 45 minuti dalla partenza, quindi sulla stessa vetta del Monte Lancino (m. 1700) per scendere ancora alla Sella ovest del Lancino (m. 1675) 2 h.di cammino dalla Doganaccia. Il sentiero 00 si sposta ora leggermente in versante toscano, percorre la costiera e la vetta del Monte Cervinara (m. 1776) che prende il suo nome dalla rustica erba chiamata cervino (Nardus striata), e va a salire il fianco orientale del Libro Aperto, con ampie visione sia del versante toscano,roccioso e ripido, che di quello emiliano, con morbide ondulazioni ricoperte di piante di mirtilli: si giunge, quindi su una delle due cime del Libro Aperto,chiamata Monte Rotondo (m. 1936) 3 h. dalla partenza, che si trova in versante emiliano e al quale pervengono diversi sentieri sia dall’Emilia che dalla Toscana. Da qui di gode di un panorama vastissimo: si scende poi lungo lo 00, qui non troppo evidente, ad una depressione nota come La Spianata o La Selletta del Libro Aperto (m. 1857) per risalire poi lungo il crinale principale fino all’altra cima del Libro Aperto, questa però in versante toscano, conosciuta come Monte Belvedere (m. 1895) perché da qui di gode di un bellissimo panorama sulla zona dell’Abetone. Da qui si scende lungo in sentiero che corre lungo la linea dei cippi confinari settecenteschi fino a pervenire alla sella della Serra delle Motte o Foce della Verginetta (m. 1502), 4 h. dalla partenza, al limite superiore del bosco dove giungono diversi sentieri e dove sorge un piccolo rifugio, la Casa di Lapo, aperto nei mesi estivi e dove si può acquistare qualcosa da mangiare. Lasciata la Serra delle Motte ci dirigiamo verso ovest per incontrare, dopo pochi minuti di cammino, un’altra depressione nota come Serrabassa della Verginetta (m. 1489). |
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Da qui parte sulla destra una larga carrareccia, usata in inverno come pista da sci di fondo, che noi ignoriamo per andare invece a sinistra, sempre lungo lo 00, risalendo i fianchi e giungendo in vetta al Monte Maiori (m. 1560), la cui vetta è stata rimboscata a conifere. Da qui il sentiero scende per incontrare nuovamente la larga carrareccia in località Verginetta (m. 1475) dove si trova anche una bella fontana in pietra: sono trascorse 4 h. e 30 minuti da quando abbiamo lasciato la Doganaccia. Ora lo 00 penetra dentro la bellissima foresta dell’Abetone: passiamo fra grandi abeti al di sotto della costiera del Reniccione e in 30 minuti, sempre camminando su ampia strada forestale, arriviamo ad una sbarra che preclude il traffico alle auto e ai fuoristrada e, dopo poche centinaia di metri al piazzale delle Piramidi all’Abetone (m. 1.388) per un tempo totale di escursione di circa 5 h. A questo punto non resta che salire sull’auto lasciata in precedenza per ritornare alla Doganaccia a riprendere l’altra. N.B.: le notizie storiche, toponomastiche, paleontologiche, faunistiche e botaniche sono tratte dal bellissimo libro “L’Alto Appennino Modenese” di Alessandro Marchiorri edito dal Club Alpino Italiano sezione di Modena che come sempre si può acquistare presso i miei amici Diva e Roberta Marotta della Libreria Stella Alpina Via Corridoni Firenze tel. 055/411688 e dal Dizionario Corografico della Toscana compilato nel 1855 dal Cav. Repetti. Il Dizionario Corografico della Toscana è stato stampato nel 1855 e costituisce la base fondamentale di tutta la storia e la geografia della Toscana: vi sono indicati tutte le città e i paesi della nostra regione in ordine alfabetico; ritengo fare cosa utile pubblicare quello che riporta sull’Abetone, anche se il linguaggio è quello di 150 anni (tanto per dire non si parla di Toscana ma di Granducato di Toscana). Abetone o Boscolungo, nella montagna o Appennino di Pistoia, volgarmente chiamata Libro Aperto – E’ l’ultima stazione del Granducato sulla strada regia modanese, che termina alle Piramidi, passata la dogana di Boscolungo e la chiesa parrocchiale omonima di S. Leopoldo quasi 51 miglia a maestro di Pistoia; sopra un magnifico parco delle RR. (ndr. Regie) Possessioni piantato a cipressi, abeti ed altri alberi montanti di alto fusto. La parrocchia di S. Leopoldo a Boscolungo nel 1845 aveva 481 abitanti. |