|
Il Corchia (m. 1677) è una montagna piuttosto uniforme se la si osserva da Foce di Mosceta mentre acquista una certa imponenza se è guardata dalla Versilia: non è fra le più alte cime delle Apuane ma è senz’altro la più importante dal punto di vista della speleologia perché al suo interno si sviluppa il più importante complesso sotterraneo d’Italia e uno dei maggiori del mondo con i suoi 9 ingressi distinti i quasi 60 km. di sviluppo finora conosciuti, i 1.195 metri di dislivello fra l’ingresso dell’Abisso Fighiera (che si apre quasi sulla vetta del monte ) e il fondo dove il torrente interno (dedicato a Emile Vidal) scompare in un passaggio basso e impercorribile. Si può dire che intorno all’esplorazione del Corchia sia nata la moderna speleologia italiana: il sistema di condotti carsici si sviluppa in un volume di roccia di circa 2 km. cubici di cui quasi la metà è data da livelli di gallerie formatisi in regime freatico, cioè in condizioni di totale sommersione. |
|
Fra le grotte che si aprono su questa montagna, oltre al già citato Abisso Claude – Fighiera, si ricordano l’ Abisso Baader – Meinhoff (- 450 m.), l’ Abisso del Sole dell’Ovest (- 320 m.), la Buca dell’Aihcroc (- 120 m.), la notissima Tana dell’Omo Salvatico (- 270 m., 1.500 m. di sviluppo) che si trova nel Canale delle Verghe a breve distanza dal rifugio “Del Freo” a Foce di Mosceta. Nel 2001 il Parco delle Apuane ha reso accessibile la visita all’Antro del Corchia attrezzando un itinerario di circa 2 h. all’interno della montagna: i turisti possono prenotare la visita telefonando alla biglietteria che si trova a Levigliani (vedi numero di telefono e altre informazioni sul sito del parco www.parcapuane. toscana.it cliccando alla voce Antro del Corchia). |
|
Il Corchia, oltre la particolarità del suo carsismo, riveste anche una certa importanza dal punto di vista alpinistico e la zona migliore, sotto questo profilo, è rappresentata dal versante occidentale là dove la roccia forma, oltre a pareti verticali, nello spigolo che si protende verso il Passo Croce, caratteristici pinnacoli conosciuti come Torrioni del Corchia. Bisogna anche aggiungere che questa montagna è una delle più compromesse dalla mano dell’uomo: costellata di cave di marmo, di cui una, in versante versiliese, è giunta a lambire il crinale lasciando solo una esigua striscia di roccia a separare lo spartiacque fra Versilia e Garfagnana. Le associazioni di speleologi e ambientalisti ne hanno fatto un simbolo di difesa dalle manomissioni umane: è in questa disputa fra proprietari e dipendenti di cave da una parte e associazioni protezionistiche dall’altra che si colloca la distruzione del Bivacco Lusa – Lanzoni da parte di cavatori preoccupati per la eventuale perdita del posto di lavoro. |
|
Del bivacco, che si trova proprio poco sotto la vetta e che veniva usato dagli speleologi per prepararsi a scendere nell’Abisso Claude – Fighiera, resta ora solo lo scheletro in ferro che desta una certo sconforto. Dopo aver parlato un po’ della montagna, veniamo ora a descrivere l’itinerario vero e proprio che, però, a differenza di quasi tutti gli altri da me descritti, prevede un punto di partenza e un punto di arrivo diversi, per cui per effettuarlo è necessario essere almeno in due persone e con due autovetture. Il punto di partenza si trova al Passo Croce (m. 1160) posto alla base dei Torrioni del Corchia: questo valico è raggiungibile dalla strada Querceta – Castelnuovo Garfagnana quando, poco dopo aver passato la deviazione a destra per Levigliani ,si nota sulla destra una larga strada asfaltata che si arrampica con numerosi tornanti sui fianchi occidentali del monte e, dopo i casolari di Pian del Lago, giunge al passo dove va parcheggiata l’auto. |
|
È bene ricordare che l’altra autovettura va lasciata nel paese di Levigliani perché questa sarà la mèta d’arrivo. Dal Passo Croce si prosegue a mezza costa sul sentiero CAI n. 11 per una strada sterrata (con un tratto anche asfaltato) fino a pervenire dopo circa 20 minuti al Valico di Fociomboli (m. 1270) posto tra il Corchia e il Freddone (m. 1270) e attraversato dalla mulattiera che raggiunge le località ormai abbandonate di Puntato (m. 1000) e di Col di Favilla (m. 955). Da Fociomboli si prosegue a destra lungo la strada marmifera sul sentiero CAI n. 129 e quando il sentiero si inoltra nel bosco per andare verso Foce di Mosceta noi proseguiamo sempre lungo la marmifera che ci conduce a una cava abbandonata posta proprio sotto la sommità del Corchia (1 h. dalla partenza). |
|
Proprio al lato sinistro estremo della cava ha inizio un erto sentiero, non segnalato, ma evidente che conduce sul crinale con un’erta salita e, quindi, sulla vetta transitando proprio sotto il taglio della cava che giunge a lambire il filo di cresta: è un percorso da fare con estrema attenzione perché si snoda su terreno infido a causa del paleo. Dalla vetta si gode un panorama eccellente ,ma è inutile stare al elencare tutto ciò che lo sguardo può ammirare perché sarebbe un elenco lungo e noioso, si può dire solo che, per la sua posizione quasi al centro della catena apuana, il Corchia costituisce un ottimo punto di osservazione sulle cime delle Apuane, sulla Garfagnana e sulla Versilia. |
|
Dopo aver sostato sulla vetta si segue il sentiero che scende verso Mosceta e dopo poco incontriamo i resti del Bivacco Lusa – Lanzoni: lo lasciamo per continuare la discesa sul filo di cresta fino ad incontrare un passaggio pericoloso da fare con una certa attenzione; il sentiero scende ora sempre sul versante garfagnino e ci conduce ai prati e ai boschi di Foce di Mosceta in 1,5 h. dalla vetta del Corchia e in 2,5 h. dalla partenza. Il Rifugio “Del Freo” è, senza dubbio, il più frequentato delle Apuane sia per la sua felice posizione come base di partenza per innumerevoli escursioni sia per la sua ottima ricettività. Da Mosceta,da cui si diramano numerosi sentieri, prendiamo a destra il sentiero CAI n. 9 che ci conduce in 45 minuti di cammino al Passo dell’Alpino (m. 1090) valico posto tra il Corchia e il Monte Alto e caratterizzato da una bella marginetta. |
|
Dal passo ha inizio una bella e caratteristica mulattiera, le famose Voltoline ,che con numerosi e stretti tornanti ci porta ad una marmifera proprio nei pressi del luogo dove si trova l’ingresso turistico all’Antro del Corchia (le Voltoline ricordano, fatte le debite proporzioni, la Via Vandelli nel tratto Resceto Passo della Tambura). Giunti alla marmifera andiamo ora a sinistra e la percorriamo fino a giungere al paese di Levigliani (582 m.) dopo 1,5 h. di cammino dal Passo dell’Alpino per un itinerario totale di 4 h. e 45 minuti. E’ interessante rilevare che vicino a questo paese, poco prima di un tornante della strada che vi perviene, si trovano due vecchie miniere di cinabro e mercurio sfruttate dai Medici, ora abbandonate e divenute meta di collezionisti di minerali. |
|
Dal bellissimo libro Le leggende delle Alpi Apuane di Paolo Fantozzi per le Edizioni Le Lettere estraiamo: Il Monte Corchia – Nella parete del monte Corchia, in una località chiamata “Inferno”, si aprono molte grotte. Ce n’è una che si chiama “l’antro del Diavolo”, perché lì dentro, sul soffitto, si trovano due fori che la leggenda dice siano l’impronta delle sue corna. In un’altra caverna del monte Corchia, nella conosciuta “Tana dell’Uomo Selvatico”, si trova, al suo interno, uno spiazzo assai vasto nel mezzo del quale si può vedere una concrezione calcarea dall’aspetto misterioso e strano perché imita in modo impressionante le forme di un gigantesco cavallo che mentre sta riposandosi tiene il collo in alto e lo sguardo fisso in un punto della grotta. |
|
La leggenda dice che ci riesce ad identificare il punto esatto in cui il cavallo guarda, troverà un lapislazzuli ed un filone d’oro. Altri invece sostengono che il cavallo non sia altro che un animale mostruoso messo a guardia di un tesoro nascosto e che risvegli appena qualcuno riesce a scovare il prezioso bottino. L’Omo Selvatico – Vicino a Mosceta, tra il monte Corchia e la Pania della Croce, si trova la Buca dell’Omo Selvatico. Era credenza diffusa che lì abitasse un uomo dalle strane abitudini: era triste quando era bel tempo, mangiava la buccia dei frutti e gettava via la polpa. Infine lavorava quando il tempo era brutto e si riposava col sole. Se ne stava rimpiattato per i boschi e calzava scarpe fatte di corteccia d’albero. |
|
Vestiva un mantello di pelliccia e si cibava di erbe selvatiche. Un giorno l’Uomo Selvatico fu convinto dai pastori ad andare ad abitare con loro. Lo convinsero con molta fatica, ma ne guadagnarono preziosi suggerimenti. Per esempio l’Uomo Selvatico insegnò loro a fare il burro ed il formaggio ed essi non volevano lasciarlo andare più via, nella speranza che potesse insegnare loro qualcosa di più. L’Uomo Selvatico svelò ancora molti segreti e quando i pastori si convinsero che ormai non c’era più niente da imparare gli dissero che sarebbe potuto tornare nella sua terra, tanto loro non ne avevano più bisogno. L’Uomo Selvatico se ne andò ma prima volle dire quanto fossero stati stupidi perché l’avessero fatto rimanere ancora un giorno, gli avrebbe insegnato a fare l’olio. Se ne andò e nessuno da quel giorno l’ha visto di nuovo. |
|
Non solo il monte Corchia ha ospitato l’Uomo Selvatico; sue tracce si trovano anche in una caverna che si apre sulla parete rocciosa che sovrasta il paese di Resceto chiamata “il Castagnolo”. L’Omo Selvatico fu scacciato dal suo rifugio e gettato nel precipizio davanti alla grotta. Nel vuoto riuscì comunque ad aggrapparsi ad un arbusto rimanendo sospeso nel vuoto, ma gli uomini, col pennato, gli tagliarono le mani facendolo precipitare nel vuoto. Anche a Gorfigliano si racconta una leggenda che parla dell’Omo Selvatico. Si dice che alcuni uomini catturarono nel bosco l’Omo Selvatico e lo rinchiusero in una chiesetta, ma riuscì a scappare attraverso una piccola finestra; allora si voltò verso gli uomini e gridò loro: "Se mi tenevate ancora un giorno e una note vi avrei insegnato a indovinare il tempo" e, ridendo con voce cavernosa, scappò verso il monte Pisanino. |
|
|