La cima dell’Omo


Aldo sulla vetta

Il monte Cima dell’Omo (m. 1859), chiamato anche Alpe di Barga, si trova proprio sul crinale dell’Appennino tosco – emiliano e domina con la sua mole la cittadina di Barga e tutta la Garfagnana, oltre alla vicina vallata del rio Fontanacce: si trova, quindi, in ottima posizione panoramica e il percorso che si deve fare per raggiungerlo attraversa zone di notevole importanza dal punto di vista geomorfologico e della flora. Infatti il tratto che va dal Passo della Boccaia (m. 1587) al Passo della Porticciola o Colle Bruciata (m. 1714) attraversa il grandioso circo glaciale del versante nord occidentale del Monte Giovo (m. 1991) alla cui base si trovano le numerose sorgenti del rio Fontanacce in quella zona che si chiama “Campi di Annibale” e che, come altre dell’Appennino, ha preso il nome dal grande condottiero cartaginese.


Il Passo della Boccaia

Infatti la dove lo spartiacque declina verso Colle Bruciata si trova una grandissima estensione di depositi morenici per cui si cammina su grandi lastroni orizzontali levigati dall’antico ghiacciaio quaternario e spaccati da profonde fessure dovute all’azione del ghiaccio. Occorre anche aggiungere che queste zone sono state manomesse dall’azione dell’uomo che ha sempre cercato fin dai tempi più antichi di tagliare il bosco in favore dei prati a pascolo per sostenere l’allevamento del bestiame ,unica fonte di reddito per le popolazioni di queste vallate: è proprio grazie all’allevamento di grandi greggi di ovini e caprini che la montagna non si spopolata del tutto. D’altra parte, però, la presenza eccessiva di questi animali ha causato il deperimento del suolo tanto che il bosco non esiste più sopra i 1.300 m. e si che il faggio si trova in natura fino ai 1.700 m.


I campi di Annibale

Fra le specie vegetali presenti oltre ai faggi, grazie ai rimboscamenti si incontrano pini nani e abeti rossi e, fra le piante originarie di queste zone, ginepri, lamponi, ginestre, felci, orchidee, anemoni, genziane, mirtilli, carline, crochi; numerosa la fauna che frequenta la valle del rio Fontanacce: frequenti sono le tracce dei cinghiali mentre alle pendici del Giovo alberga una colonia di marmotte, reintrodotte alcuni anni fa, e fra gli uccelli si possono notare cince, regoli, rampichini fringuelli. Ma torniamo al punto di partenza di questo itinerario che è posto in località Pian de’ Remi, cioè nel parcheggio situato sotto il Lago Santo a quota 1.450: da questa zona transitava (come ho avuto modo di spiegare più volte durante i miei itinerari sull’Appennino tosco – emiliano) la più nuova delle due Vie de’ Remi.


La vetta del Monte

Dunque dal parcheggio saliamo l’ampia carrareccia e ci portiamo sulle sponde del lago (m. 1501) dove si trova una bella fontana installata dal Corpo Forestale dello Stato. Dopo aver fatto rifornimento andiamo a destra seguendo il sentiero CAI n. 529 che, costeggiando la sponda orientale e passando vicino al Rifugio “Marchetti” e al rifugio “Monte Giovo”, perviene all’estremità settentrionale del famoso lago che è chiamata “La Spiaggia”: da qui si percorre un sentiero sassoso che si inoltra dentro la morena generata dall’antica glaciazione e transitando vicino ad una abetaia, giunge al Passo della Boccaia (m. 1587), 30 minuti dalla partenza, importantissimo crocevia di numerosi sentieri (il 539 per la Nuda, il 527 per il Giovo, il 541 per Ponte S. Anna, il 531 per Ca’ di Gallo, il 529 per Colle Bruciata).


Un fungo Ammanita Muscaria sul sentiero

Dal passo andiamo a sinistra seguendo il sentiero CAI n. 529 che percorre i grandi lastroni residui dell’antica glaciazione dove, fra le fessure causate dal ghiaccio, si snodano numerosissimi ruscelletti i quali danno origine al Rio delle Fontanacce, a suo volta tributario del Rio Perticara: camminando sempre in falsopiano giungiamo ai “Campi di Annibale” posti alla base del circo detritico. All’estremità settentrionale dei “Campi di Annibale”, sotto la parete rocciosa del Colle Traversata, laddove il terreno si fa più erboso, si trovano le sorgenti del rio Fontanacce che costituiscono l’ultimo rifornimento idrico effettuabile: da qui il sentiero riprende a salire, si addentra in un boschetto, aggira il fianco nord – occidentale del Giovo e con percorso diagonale giunge al Passo Colle Bruciata o Porticciola (m. 1714) posto sul crinale lungo il sentiero 00 da dove transitava la Via de’ Remi per Barga (1 h. dal Passo della Boccaia e 1,5 h. dal parcheggio del Lago Santo).


Il Passo della Porticciola

Da qui si gode un ottimo panorama sulle cime Apuane e sulla Garfagnana tutta: andiamo ora a destra proseguendo sul crinale fino ad incontrare un gruppo di roccette poste su terreno un po’ insidioso ma veniamo aiutati da una cavo di acciaio posto in loco dal CAI di Barga. Proseguiamo fino a superare il fianco nord – est del monte e da qui abbandoniamo lo 00 per salire in diagonale lungo il crinale del monte su sentiero non segnato ma abbastanza evidente fino a raggiungere la vetta della Cima dell’Omo o Alpe di Barga (m. 1859); è trascorsa 1,5 h. da quando siamo passati dal Passo della Boccaia e 2 h. da quando abbiamo lasciato l’auto al parcheggio sotto il Lago Santo. Alcuni libri che ho letto affermano che in vetta si troverebbe una croce metallica, ma io, che ci sono salito il 31 agosto 2002 non ne ho visto traccia.


Le cime di Romecchio dalla vetta

Comunque il panorama è splendido, con belle visioni sulle vicine Cime di Romecchio, il Giovo e i sottostanti Campi di Annibale, la Val Perticara e la Garfagnana e, tempo permettendo, la bellissima Pietra di Bismantova ai piedi dell’Appennino reggiano (vedi itinerario omonimo). Possiamo, quindi, intraprendere il percorso inverso che richiede circa 1,5 h. di cammino per un itinerario totale di 3,5 h.

Le leggende della Cima dell’ Omo – da “Storie e leggende della montagna lucchese” di Paolo Fantozzi edizioni Le Lettere.


Un tratto attrezzato del sentiero

La Cima dell’ Omo, conosciuta anche come Alpe di Barga, deriva probabilmente il suo nome da piramidi di pietre che in passato si innalzavano sulle cime dei monti per segnare i confini. Ancora oggi, in molte zone dell’ Italia settentrionale, questi mucchi di pietre si chiamano “om”. Un altro nome con il quale è conosciuta questa vetta è Alpe Caciaia in riferimento al cacio prodotto dal latte degli ovini che su quelle pendici pascolano abbondantemente. Il Bortolotti nella sua guida dell’Appennino lucchese affermava che sulla cima di trovava una piccola statua di un uomo, un ometto di pietra. In realtà si trattava di un cippo confinario cilindrico settecentesco in pietra arenaria come ne’esistono ancora tanti lungo tutto il crinale spartiacque tra il Corno alle Scale e San Pellegrino in Alpe.


La vetta del Monte dal versante Garfagnana

Salendo dal versante modenese, oltre il limite del bosco, a oriente dei Legacci della Porticciola, da una certa posizione, l’ometto in pietra si stagliava contro il cielo e dava l’impressione di un viandante o di un gendarme ducale che da oltre duecento anni vigilava sull’antico confine. Questo ometto fu abbattuto da una folgore verso la fine degli anni settanta. La Caccia selvaggia. Anche nell’ Appennino, come in altre parti d’Europa, si conosce la Caccia selvaggia: un corteo di fantasmi di uomini e animali che percorre i crinali della montagna. Sulla Cima dell’ Omo può capitare di vedere nelle notti di luna piena una strana processione di anime guidate da un condottiero che le conduce verso i contrafforti del monte Giovo.


La vetta vista dal sentiero

Il pastore di Pian di Caciaia. Un pastore che portava le sue pecore a pascolare in Caciaia, un ripido costone erboso che scende dalla Cima dell’ Omo, vide che da un po’ di tempo le sue pecore davano meno latte, deperivano, sbavavano e si lamentavano in continuazione. Il pastore non riusciva a capire il motivo, ma una sera gli venne un dubbio e decise di andare ad appostarsi dove le sue pecore andavano a pascolare. Nel cuore della notte illuminata dalla luna piena, vide una fila di animali strani scendere dal monte piano piano e andare a formare un cerchio intorno ad un grosso albero. Dopo poco vi salirono sopra e proprio in quel momento il pastore uscì dal suo nascondiglio e corse a conficcare un coltello per terra. Subito quegli orrendi animali si trasformarono in persone e poiché si trattava di streghi, in quel modo non poterono più scendere. Allora si raccomandarono al pastore di togliere il coltello e lasciarli liberi: in segno di riconoscenza non avrebbero più toccato le sue pecore e la sua famiglia sarebbe stata per sempre libera dalle loro malìe.