Le Cave di Carrara

Tratto in parte da:

Frederick Bradley

Guida alle Cave di Marmo di Carrara

Ed. Internazionale Marmi e Macchine Carrara, 1991


Immagine dei Ponti di Vara

Descrivere tutte le cave che ci trovano nel bacino marmifero di Carrara sarebbe un’impresa troppo difficile per condensarla in poche righe: ci limiteremo pertanto ad un breve riepilogo facendo notare che le notizie sono tratte dal bellissimo libro “Guida alla cave di marmo di Carrara” di Frederick Bradley edito da”Internazionale marmi e macchine Carrara”. Nel bacino marmifero di Carrara si contano 190 cave, di cui un centinaio attive: fino al 1995 le cave hanno costituito un caso a parte nella normativa mineraria nazionale in quanto la materia era ancora regolamentata dalle Leggi Estensi del 1751 in base alle quali i canoni di concessione venivano calcolati non sulla ricchezza mineraria del sottosuolo ma sul reddito agrario della concessione, risultando, quindi, irrisori rispetto al valore reale dell’area. Questa situazione consentiva anche la pratica del settimo, un subaffitto della concessione a terzi del marmo prodotto: solo nel 1995 il comune di Carrara, con una storica sentenza, è riuscito a legiferare una normativa in cui il canone di concessione viene calcolato sul reale valore del prodotto di cava e vietando ogni forma di subaffitto.

 

Tutte le cave esistenti sono ordinate per numerazione progressiva e all’ingresso di ognuna è posto un cartello identificativo riportante il nome della cava e il numero con il quale è identificata all’Ufficio Catastale. La quasi totalità delle cave risulta compresa da ovest a est nel grande anfiteatro naturale che parte dal Monte Uccelliera (m. 1246) al Monte Borla (m. 146), al Monte Sagro (m. 1749) alla Cima di Gioia (m. 810) e al Monte Brugiana (m. 960): possiamo dire che il bacino marmifero è compreso in tre valli che sono separate fra loro dalle pendici del Monte Maggiore (m. 1396); il paesaggio è stato profondamente modificato dalle escavazioni e dai ravaneti, le discariche di marmo frutto delle escavazioni che ricoprono di bianco le valli, oltre che dalle strade di arroccamento che incidono i ripidi versanti.

 

Storia – Le prime notizie relative all’estrazione del marmo nella zona di Carrara risalgono al I sec. a.C. quando la regione era sotto la dominazione romana: allora il marmo veniva chiamato marmor Lunense in quanto il centro di estrazione era identificato nella città di Luni, colonia fondata dai Romani e dal cui porto salpavano verso Roma navi lapidariae cariche di questo materiale; studi approfonditi hanno rilevato in diverse località la presenza di tagliate attribuibili all’età romana. Non solo, ma sono stati anche rinvenuti utensili utilizzati per lo scavo oltre a iscrizioni ed epigrafi che testimoniano come in epoca romana l’attività estrattiva fosse ben organizzata: il taglio veniva effettuato con mazzoli e scalpelli, cercando di sfruttare le fratture naturali della massa rocciosa ed inserendo nelle fessure delle formella a forma di V che venivano poi bagnate.


Andrea ai Ponti di Vara

Dopo i Romani per molti secoli non si hanno più notizie sulla escavazione del marmo: solo verso la fine del Duecento, sotto l’Impero di Federico I, si ha la rinascita delle attività estrattive nei bacini carraresi: anche in quel periodo la tecnica di escavazione era simile a quella praticata dai Romani e, praticamente, tale rimase fino al ‘700 quando si iniziò ad usare l’esplosivo e,in particolare, la polvere nera. La tecnica di abbattimento con esplosivo era chiamata varata : stabilita la parete da abbattere si procedeva ad scavare a mano un lungo foro alle fine del quale si scavava con acido cloridrico una camera sufficiente a contenere la quantità necessaria di polvere nera; l’impiego di questa tecnica aveva però il difetto di distruggere gran parte del marmo e di produrre una grande quantità di materiale di scarto.

 

Per avere nuove tecniche in sostituzione dell’uso di esplosivo: nel 1889 all’Esposizione Internazionale di Parigi fu presentato un impianto che consentiva il taglio di marmo con filo elicoidale, brevettato da un belga trent’anni prima: l’impianto aveva il grande pregio di effettuare tagli di grande dimensione direttamente sul monte e costituì una rivoluzione nel campo dell’escavazione del marmo. L’impianto consisteva in un filo di 5 mm. di diametro formato dall’avvolgimento in forma elicoidale di tre piccoli cavi d’acciaio: il filo veniva mosso da un motore elettrico che imprimeva il movimento per mezzo di una frizione collegata ad una serie di pulegge; nella sua corsa il filo veniva fatto passare solo per una piccola parte della sua lunghezza a contato con il marmo da tagliare.


Il treno del marmo sui Ponti di Vara

Il taglio avveniva per la discesa dentro la massa rocciosa di una parte di filo compresa fra due montanti: la cosa più curiosa è che non era il filo ad incidere il marmo bensì la miscela di acqua e sabbia che veniva fatta colare costantemente sul filo stesso. Questo portò molto sollievo al lavoro dei cavatori e ci fu un minor spreco di marmo:con l’avvento del filo elicoidale le cave assunsero l’ aspetto a bancate che ora presentano abitualmente ma restava sempre il problema del trasporto del marmo fino ai luoghi carico, per cui, fra il 1876 e il 1890, su costruita una ferrovia adibito al trasporto del marmo. Questa ferrovia collegava i principali centri di stoccaggio dei blocchi dei tre bacini marmiferi carraresi (Torano, Miseglia e Colonnata) con le segherie in pianura, il porto di Marina di Carrara e la rete ferroviaria nazionale: fu una impresa enorme dati i mezzi dell’ epoca: si dovevano superare 450 m. di dislivello per una lunghezza totale di 22 km. attraversando un gran numero di ponti e ferrovie.

 

La “Ferrovia marmifera” operò a lungo in sostituzione della rete stradale, ma la concorrenza con i moderni mezzi di trasporto la rese antieconomica ed il trasporto del marmo su rotaia cessò definitivamente nel 1964: parte del tracciato fu smantellato, parte trasformato in sede stradale: tra le opere più importanti restano ancora in piedi i Ponti di Vara, all’ imbocco del Bacino di Miseglia, che una volta costituivano un importante nodo ferroviario ed ora solamente strada di transito per i camion. Per quanto concerne il trasporto del marmo dai tempi antichi fino all’ avvento della ferrovia o delle strade di accesso, bisogna dire che veniva usato il sistema della lizzatura: ma questo è un argomento talmente vasto ed affascinante che sarà meta di una dettagliate relazione che farò quanto prima.

 

Le cave attuali – Attualmente l’ escavazione del marmo viene attuata in tre fasi: taglio al monte di grosse bancate di roccia, ribaltamento delle stesse bancate sul piazzale di cava e riquadratura in blocchi di dimensioni commerciali. – Il taglio al monte rappresenta la prima parte dell’attività produttiva e consiste nell’ isolare dal corpo marmoreo una porzione di roccia che sia di forma e dimensioni idonee ai blocchi che si vogliono ottenere: per effettuare il taglio non si usa più il filo elicoidale bensì la tagliatrice a filo diamantato che è comparsa alla fine degli anni ’70 del Novecento. Con questa macchina si procede nel modo seguente: si fa una serie di perforazioni verticali ed orizzontali con macchine perforatrici che consentono fori di grosso diametro in modo da formare un canale continuo nella massa rocciosa, all’interno di tale canale viene inserito il filo diamantato che sarà chiuso ad anello attorno alla puleggia del blocco motore della tagliatrice, al momento del taglio la puleggia motrice, mossa dal motore elettrico, imprime movimento al filo che è mantenuto costantemente in tensione a stretto contatto con la superficie rocciosa.


Cava a pozzo

Il taglio è eseguito direttamente dal filo diamantato, formato da un cavo d’ acciaio sul quale è inserita una serie di anelli diamantati (perline) distanziati l’ uno dall’ altro da piccole molle che permettono un movimento alternato: è dunque l’ abrasione diretta dei diamanti inseriti sulle perline che determina il taglio senza necessità di ricorrere alla sabbia silicea mentre necessita ancora l’ acqua per permettere l’ evacuazione dei residui di marmo. Un’ altra macchina per il taglio al monte che sta raccogliendo sempre più consensi è la tagliatrice a catena derivata da macchine usate per l’ escavazione in miniera: consiste in un blocco motore che ha la possibilità di spostarsi su binario tramite una cremagliera ed è al quale è collegato un braccio di 3 metri sui cui scorre un nastro fornito di denti a teste di widia di 40 mm. di larghezza; con questa macchina è possibile effettuare tagli verticali ed orizzontali ed il suo utilizzo si sta diffondendo anche nelle cava a cielo aperto dove nel taglio al monte viene spesso abbinata alla tagliatrice a filo diamantato.

 

Ribaltamento della bancata: una volta separata la bancata dalla massa rocciosa si procede al suo ribaltamento sul piazzale di cava: in primo luogo sul piazzale viene preparato il cosiddetto cuscino costituito da un cumulo di detriti di marmo frammisti alla fanghiglia prodotta dai tagli,e la cui funzione è quella di ammortizzare la caduta della bancata per limitarne le rotture; per il ribaltamento vero e proprio si ricorre all’ utilizzo di martinetti oleodinamici che consistono in pistoni scorrevoli dentro cilindri d’ acciaio capaci di esercitare spinte di alcune tonnellate oppure si usano cuscini divaricatori in metallo, inseriti direttamente nello spessore lasciato dal taglio del filo diamantato: una volta posizionati, i cuscini vengono riempiti d’acqua così da esercitare la spinta laterale necessaria. Un altro sistema ancora per ribaltare le bancate è quello della trazione diretta tramite un cavo d’ acciaio collegato direttamente ad una pala meccanica.

 

Riquadratura della bancata: dopo essere stata ribaltata sul piazzale di cava, la bancata è pronta per essere riquadrata in blocchi di dimensioni commerciali: questa operazione riveste una grande importanza perché è ora che si definisce il valore del marmo scavato; in genere le dimensioni dei blocchi si aggirano su 1,8 x 2,0 x 2,8 metri. Nella maggior parte dei casi la riquadratura dei blocchi avviene tramite l’ uso della tagliatrice a filo diamantato oppure tramite una macchina che utilizza la stessa tecnologia di taglio della tagliatrice a filo diamantato ma ne differisce completamente per struttura: si tratta di un telaio formato da due pulegge di grosso diametro su cui ruota ad anello il filo diamantato; il telaio scorre in senso verticale lungo due montanti di supporto consentendo di effettuare il taglio del blocco posto su un carrello sottostante. Dopo essere stati riquadrati, i blocchi di marmo sono pronti per il trasporto alle segherie: il caricamento dei blocchi sui camion avviene generalmente tramite l’ impiego di pale meccaniche di portata adeguata.

 

I tipi di cava: i tipi di cava presenti nei bacini di Carrara si possono così riassumere: Cave di versante e culminali, cave a fossa e a pozzo, cave in sotterraneo. – Cave di versante. Rappresentano il tipo più comune: sono così chiamate perché si sviluppano lungo i versanti della montagna dove, in genere, disegnano una geometria a gradini ognuno dei quali può costituire uno o più fronti di escavazione; la coltivazione avviene per arretramento dei gradini fino al limite dell’ area sfruttabile, partendo dal più alto e procedendo verso il basso. Si possono ascrivere a questo gruppo anche le cave aperte lungo i crinali delle montagne, dette cave culminali, che, differenza delle prime, non avendo alcun lato limitato da pareti rocciose, beneficiano di condizioni morfologiche particolarmente favorevoli.


Cava in sotterraneo 

Cave a fossa. Come suggerisce il nome, il loro sviluppo è essenzialmente verticale e spesso è determinato dalla mancanza di spazio necessario ad estendere lateralmente l’ escavazione; la coltivazione avviene per escavazione del piano di cava lungo livelli morfologicamente sempre più bassa, che porta ad un graduale approfondimento del fronte di scavo. Come è facilmente intuibile, questo tipo di cave, dette più correttamente cave a pozzo, presenta lo svantaggio di doversi servire di gru poste sul bordo della fossa sia per portare in cava tutti i macchinari necessari all’ escavazione sia per estrarre i blocchi riquadrati e per rimuovere il materiale trasportato poi dai camion alla discarica più vicina. Cave in sotterraneo. Una cava si sviluppa in sotterraneo quando si presenta la necessità si seguire l’ andamento di un corpo marmoreo particolarmente pregiato o, comunque, tale da far abbandonare una facile coltivazione a cielo aperto in favore di quella, più difficoltosa, all’ interno del monte.

 

Il cambiamento avviene per gradi: la coltivazione si fa inizialmente sotto tecchia, incidendo cioè parzialmente una parete rocciosa verticale (tecchia in dialetto carrarino) determinando una sorta di grossa nicchia che rappresenta il futuro imbocco della galleria. Quindi si procede all’ approfondimento del fronte di scavo fino a formare una vera e propria galleria: spesso all’ interno del monte le condizioni della roccia sono tali che inulta conveniente allargare l’ area di coltivazione; si formano quindi i primi gradini su cui impiantare i fronti di scavo e si fa lo spazio necessario alla movimentazione dei blocchi e del detrito prodotto, infine si riproduce in ambiente sotterraneo una vera e propria cava di dimensioni analoghe di quella abbandonata a cielo aperto.


Tipi di marmo

I tipi di marmo – Il marmo di Carrara, contrariamente a quanto si crede, è rappresentato da una grande varietà di tipi di marmo a differenti caratteristiche cromatiche e strutturali: in linea di massima si possono raggruppare in sette le varietà principali , che, a loro volta,per piccole variazione cromatiche, si suddividono in molte altre qualità; le sette varietà principali sono:il Bianco, lo Statuario, il Venato, l’ Arabescato, il Calacata, il Bardiglio ed il Cipollino Zerbino. Il Bianco è uno dei più classici marmi di Carrara: la sua caratteristica principale è quella di contenere solo limitatissime quantità di impurità, rappresentate da pirite microcristallina, insufficienti ad alterare il colore naturale della calcite che lo costituisce. Lo Statuario. è il marmo più pregiato in assoluto: fin dal tempo dei Romani è stato utilizzato in scultura per la sua colorazione bianco avorio e la sua particolare tessitura cristallina che ben si adatta al lavoro di scalpello; è un materiale molto raro e molti dei giacimenti che nel passato hanno fornito il marmo per sculture celeberrime sono ora esauriti.

 

Il Venato è un marmo piuttosto comune e, come suggerisce il nome, la sua principale caratteristica è quella di presentare delle venture di colore grigio che attraversano una pasta di fondo bianca o, più spesso, anch’ essa leggermente grigiastra. L’ Arabescato presenta venature grigie, ma, a differenza del Venato, queste disegnano sulla pasta di fondo una specie di trama, come un arabesco, da cui il nome della roccia. Il Calacata presenta invece venature di colore giallo – crema su una pasta di fondo bianca o color avorio; la colorazione delle vene è dovuta alla presenza nella tessitura della roccia di minutissimi cristalli di mica bianca o muscovite: questo marmo è considerato di gran pregio e la sua reperibilità è piuttosto limitata. Nel Bardiglio la pasta di fondo assume una colorazione grigia per la diffusa presenza nella tessitura della roccia di impurità, rappresentate da finissimi cristalli di pirite. Infine il Cipollino è così chiamato perché presenta delle striature molto marcate di colore grigio verdastro che ricordano la struttura interna della cipolla. Seppur presente nei bacini carraresi con la varietà Zerbino, i tipi più pregiati di questo marmo provengono da altri bacini marmiferi apuani.

 

I Bacini marmiferi – Il bacino di Miseglia costituisce la parte centrale della regione marmifera carrarese e conta una cinquantina di cave, di cui quaranta attive, distribuite su una superficie complessiva di circa 300 ettari: l’ accesso al bacino è consentito da una strada asfaltata che, lasciato il Torrente Carriona all’ altezza del Ponte di Vezzala, si inerpica con stretti tornanti fino al paese di Miseglia per poi proseguire lungo le pendici meridionali del Monte Croce fino a giungere ai Ponti di Vara all’ imbocco del bacino. I Ponti di Vara furono costruiti nel 1890 a completamento della rete ferroviaria per il trasporto del marmo, il cui tratto a valle era stato inaugurato quattro anni prima: in origine questi viadotti costituivano, dunque, la sede della ferrovia che collegava i tre bacini marmiferi; a destra, guardando verso il monte, il viadotto principale conduceva al bacino di Colonnata, a sinistra un viadotto più piccolo, detto del Canalpiccino, si collegava con il Bacino di Torano e tra i due ponti, dove era stata costruita una stazione ferroviaria, partiva un terzo tratto di ferrovia alla volta della parte alta del Bacino di Miseglia.


Altra immagine dei Ponti di Vara

Opera imponente, i Ponti di Vara costituirono sempre una centro nevralgico ella Ferrovia Marmifera e come tali furono presi di mira da chi si opponeva alla modernizzazione del trasporto del marmo: negli anni ’30 un gruppo di lavoratori addetti al trasporto del marmo con i carri trinati dai buoi, esasperati dalla schiacciante concorrenza condotta dalla ferrovia, tentarono di abbattere il viadotto principale. L’attentato non riuscì e procurò solo delle lesioni a tre delle quattro arcate del ponte che conduce al Bacino di Colonnata: di quell’ episodio, simbolo della lotta dei bovari, restano le tre arcate di rinforzo, costruite a sorreggere i pilastri lesionati. Lasciati i Ponti di Vara la strada continua la salita verso la parte alta del bacino passando di fianco ad una piccola cava detta cava scuola, dove vengono addestrate le giovani maestranze: quindi la strada si inerpica su un grande ravaneto fino a giungere ad un piazzale adibito alla stoccaggio dei blocchi pronti per il trasporto a valle, piazzale chiamato Bocca di Canal Grande.

 

Qui è il centro di partenza di tutte le strade che portano alle numerose cave sovrastanti: una strada asfaltata consente di continuare la salita verso il cuore del bacino marmifero e, non appena inizia di nuovo la salita,sulla destra si apre una interessante cava a pozzo(la n°. 100); quindi la strada continua con stretti tornanti fino a giungere ad un bivio: a destra si prosegue per il versante denominato Canal Grande, a sinistra si accede alla zona di Fantiscritti, famosa per i suoi marmi, ma anche per l’ importanza che riveste dal punto di vista archeologico. In quest’ultima zona fu rinvenuto un bassorilievo scolpito direttamente sulla parete di una cava lunense, raffigurante Giove, Ercole e Bacco, come rappresentazione divina di Settimio Severo e dei suoi due figli Caracalla e Geta: l’ edicola, datata fra il 203 e il 212 dopo Cristo, fu staccata dalla sua sede nel 1864 ed ora è custodita all’Accademia di Belle Arti di Carrara; in base a questi e ad altri ritrovamenti sembra verosimile che questa zona sia stata tra le più intensamente scavate dai Romani: occorre anche ricordare che nella zona dei Fantiscritti si trova una cava museo dove il pubblico può vedere tutti gli strumenti che sono stati usati nell’ arco dei secoli per l’ escavazione del marmo.

 

Nella zona di Canal Grande di particolare interesse è la cava della Carbonera, posta al limite con la zona dei Fantiscritti ed accessibile con la strada asfaltata che risale il grande ravaneto 1 km. circa dopo il bivio già menzionato: è una grande cava, in attività da molto tempo e che nel 1928 fu sede di un evento memorabile, senza uguali nella storia della escavazione dei marmi apuani. Da questa cava fu estratto con il filo elicoidale un blocco di marmo perfettamente integro e senza alcun difetto, di incredibili dimensioni: misurava ben 18 m. di lunghezza per 2,35 di larghezza ed altrettanto di altezza ed il suo peso era di circa 300 tonnellate. L’ enorme blocco, denominato monolite, fu destinato a formare l’ obelisco del Foro Mussolini a Roma, dove si trova tutt’ ora e il suo trasporto a destinazione rappresentò una impresa epica dati i mezzi del tempo. Allora la cava non era raggiunta dalla strada per cui si dovette far ricorso al sistema della lizzatura: il blocco fu completamente ingabbiato in una struttura di legno e ferro del peso complessivo di 64 tonnellate e lizzato lungo le pendici del monte utilizzando 25 funi d’ acciaio.


Cava di versante

Giunto a valle fu trascinato, sempre montato sulla lizza , da 30 paia di buoi fino al porto per l’ imbarco su una chiatta appositamente costruita. Per percorrere gli 11 km . tra la cava ed il porto ci vollero 8 mesi di durissimo lavoro in cui, per agevolare lo scorrere della lizza sui parati, sembra siano stati utilizzati ben 70.000 litri di sapone. Sempre a Canal Grande, infine, una legenda vuole che ai tempi di Giulio Cesare,in una splenica situata nelle parti più basse della valle abitasse l’ indovino etrusco Aronte, così ricordato da Dante nella Divina Commedia: “Aronta è quel ch’ al ventre li s’ atterga, che ne’ monti di Luni,dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra’ bianchi marmi la spelonca per sua dimora: onde a guardar le stelle e ‘l mar non li era la veduta tronca” (la stessa frase è apposta su una targa che domina una cava a pozzo posta sul lato destro della strada che conduce a Colonnata).

 

Il Bacino di Colonnata costituisce la parte orientale della regione marmifera carrarese e conta una settantina di cava, i cui 44 attive, distribuite su una superficie di 500 ettari: l’ accesso al bacino è consentito da una strada asfaltata che risale la valle del torrente Carrione, sede di numerose segherie per la lavorazione del marmo, fino a giungere al paese di Bedizzano; da qui la strada, attraversando un fitto bosco di castagni, corre lungo il versante orientale della valle ed in breve giunge all’ imbocco del bacino. Poco dopo, in località La Piana , sulla destra della strada si apre una profonda cava a pozzo ( la n.° 175) mentre dopo alcune centinaia di metri in località Calagio si trova il punto di partenza per la visita ad alcune zone d’ interesse archeologico. Ancora più avanti la strada prosegue verso la cava attiva del complesso di Fossacava sicuramente il più ricco di testimonianze archeologiche tra le cave lunensi conosciute fino ad ora.

 

Le tarcce delle antiche tagliate sono molto frequenti e di svariati tipi: caesurae, trincee, formelle, fori per cunei lignei, ed altri numerosi segni di una prolungata esposizione si estendono su una grande superficie e la loro disposizione indica che la coltivazione si doveva sviluppare ad anfiteatro, lungo un fronte lungo complessivamente circa 200 metri. La cava, datata intorno alla prima metà del I sec. d.C., produceva marmo Bardiglio Nuvolato, chiamato da Strabone Azzurro Variegato : dal Calagio la strada prosegue rettilinea alla volta del paese di Colonnata ma dopo un centinaio di metri, uno slargo segna l’ inizio di una strada che conduce ad un’ altra zona d’ interesse, la Cima di Gioia. La cava di Gioia (la n.° 173) è impostata su un crinale per gran parte smantellata dalle escavazioni: è una delle più grandi cavi dl carrarese e la sua posizione geografica ne ha consentito una estesa coltivazione su più gradini dove il corpo marmoreo viene evidenziato in tutta la sua potenza; vi si trovano tre tipi di marmo: il Venato, l’ Arabescato ed il Bardiglio.


Sempre i Ponti di Vara

Da rilevare che il paese di Colonnata, che dà il nome al bacino, è rinomato in tutto il mondo per la produzione del famoso lardo (vedi itinerario Ursea per Colonnata). Bacino di Torano: il paese di Torano si trova all’ imbocco di due valli: una, di grandi dimensioni, ad oriente costituisce il bacino di Torano vero e proprio, mentre l’ altra, posta ad occidente, costituisce il bacino di Pescina – Boccanaglia; questo bacino conta una settantina di cave distribuite su una superficie di 900 ettari. E’ da questo bacino che provengono molti dei più pregiati marmi di Carrara, primo tra tutti lo Statuario: numerosissimi sono i ravaneti che scendono dai versanti e coprono interamente il fondovalle; è una immensa quantità di marmo che solo in minima parte viene riutilizzata per ricavarne sottoprodotti quali granulati o polvere di marmo. A questo scopo, in località Pianello, è stato installato un grosso impianto di frantumazione in cui però vengono lavorati solo gli scarti del marmo migliore, con minimi contenuti di impurità e quindi provenienti da ravanetidi cave dove si estrae principalmente marmo bianco.

 

Subito dopo questo impianto si trova il bivio da cui parte la strada che sale lungo il Canale di Torano: lungo la strada asfaltata si giunge ad un piazzale posto a 600 m.di altezza dal quale si gode un bel panorama sull’ intera vallata alla cui destra si erge la vertiginosa parete est del monte Uccelliera;passato il bivio per Lorano, la strada continua in salita per pervenire dopo un km. alla cava del Polvaccio (la n.° 46) nota fin dall’ antichità per il suo marmo Statuario purissimo che secondo alcuni sarebbe stato utilizzato per la costruzione della Colonna Traiana e di molti altri monumenti della Roma Imperiale (naturalmente non tutto il marmo estratto da questa cava è Statuario, anzi questo non ne costituisce che una piccola parte).

 

Poco sopra la cava del Polvaccio la strada giunge ad un piazzale circondato da case e mezzi meccanici in stato di completo abbandono che, un tempo, costituivano la Stazione Ferroviaria di Ravaccione : questo era il centro di raccolta e smistamento di tutti i blocchi estratti dalle numerose cave poste a monte e trasportati fin qui con la lizzatura; sulla destra è ancora visibile l’ ingresso della galleria che collegava la stazione con il Bacino di Miseglia, a livello della Bocca di Canal Grande. Il lato a valle dell’ex piazzale ferroviario offre una bella panoramica su una profonda cava a fossa con coltivazione passata in sottotecchia: lungo la parete a fianco della strada asfaltata è visibile tuttora il vecchio impianto per il taglio con il filo elicoidale, costituito da alcuni gruppi di pulegge di rinvio su cui c’ è ancora la stesa collegata con il gruppo motore – frizione.

 

Un centinaio di metri sopra la vecchia stazione si trova un secondo piazzale posto proprio al centro dell’ intero bacino marmifero: da qui si può avere una stupefacente immagine della immensa portata delle cave di marmo di Carrara contorniate dai ravaneti.
NB Le notizie qui riportate sono tratte dal bellissimo libro “Guida alla cave di marmo di Carrara” di Frederick Bradley edito da”Internazionale marmi e macchine Carrara” che si può acquistare dai miei amici Diva e Roberto Mazzotta della libreria “Stella Alpina” di Firenze Via Corridoni telefono 055/411688 sito internet www.stella-alpina.com.