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L’ORATORIO DI S. ROCCO Era sicuramente un francese, di origini nobili, Rocco, visse tra 1295 e il 1327. Lo storico Gerini dice che verso il 1315 un pellegrino di Montpellier, di nome Rocco, proveniente da Roma, ove si era recato dalla Francia per curare gli affetti da peste, giunto all’altezza di Terrarossa (l’antica Terra Rubra), intraprese la strada romèa o francesca e giunse in località, ora chiamata San Rocco, a un chilometro da Corvarola nel versante del Merizzo, ove sorgeva un camposanto. É bene chiarire che la strada che Rocco percorreva, era una strada a quei tempi importante, conduceva da Terrarossa alla Pieve di Sorano, in Val di Magra, verso il nord. In località Vallescura, si poteva deviare per il castello di Corvarola, per il castello di Castiglione del Terziere, per la Pieve di San Cassiano, per il convento della Santissima Annunziata, per il Castello di Bagnone, ecc., tutti luoghi ove il viandante avrebbe potuto trovare ospitalità e asilo. Si fermò il pellegrino Rocco, prima di poter raggiungere Piacenza mèta del suo viandare, per riposarsi e ristorarsi, nelle vicinanze di Corvarola. Non ci è stato lasciato nulla di scritto, di cosa possa aver fatto Rocco a Corvarola. In quel luogo, cinquecento anni dopo, e figura inciso sul portale d’entrata, 1849 data in cui venne costruito un Oratorio dedicato al Beato Rocco. Da quel periodo si incominciò una solenne festa annuale, 16 agosto, in onore dell’eroico pellegrino per ringraziarlo dei benefici ricevuti. Verso il 1927 l’Oratorio, resosi pericolante, venne chiuso al culto dal Vescovo Mons. Angelo Fiorini. Ora esistono solo i muri perimetrali. Lavori di protezione e di copertura sono stati iniziati recentemente. Anche San Rocco, come San Nicola sono dei santi che hanno avuto una venerazione a carattere universale. San Rocco, nonostante la sua breve apparizione da noi, ha lasciato impronte e fatto edificare vestigia e ha dato origine a culti annuali. Protettore degli ammalati, specialmente degli appestati, protettore degli ospizi, dei medici, è patrono di molte parrocchie italiane. Fra le molte sue raffigurazioni artistiche, è notevole quella del Borgognone esposta al Brera di Milano.
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L’ORATORIO DI S. TERENZO L’oratorio di S. Terenzio sorge a nord del paese di Pieve, dalla Chiesa parrocchiale lo si raggiunge, percorrendo una erta stradina di alcune centinaia di metri. La costruzione é stata realizzata agli inizi del millennio, in mezzo ad un folto castagneto. Risulta storicamente e ben menzionato dal Da Faie, che la Cappella venne fatta ingrandire dal Conte Antonio Noceti nel 1464, e riaperta al culto popolare di S. Terenzio martire. Lavori di ristrutturazione e di manutenzione sono stati eseguiti anche in questi ultimi tempi, con il concorso della popolazione locale ed emigrata, e l’Oratorio si presenta oggi in buone condizioni. Il campanile porta una data più recente ed ospita due campane. Nell’Oratorio vi é un prezioso affresco datato 1572, che rappresenta la Madonna col Bambino e S. Giovannino, vi sono altri personaggi uno dei quali potrebbe raffigurare il Vescovo Terenzio. La festa annuale si svolge il 1 Settembre, con la partecipazione di molti parrocchiani anche emigrati da molti anni. I Barsan, tornano ogni anno al paesello e si recano alla Pieve per festeggiare S. Terenzio che é stato proclamato dal Vescovo Fenocchio loro celeste protettore.
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CORVAROLA In dialetto: Karvaróla. Il paese di Corvarola sorge su una collinetta alla cui valle scorre il torrente Civiglia, a 305 metri sul livello del mare, anch’esso su una deviazione rispetto alla strada provinciale che collega Bagnone a Monti di Licciana. Fu un antico castello dei Malaspina, avamposto di difesa, era circondato da sette torri, di cui oggi esistono solo poche vestigia. Sono collegate a Corvarola anche le località Croce, in dialetto Krósa, da incrocio, crocivio; la Ghiaia, in dialetto la Giara; e l’Oratorio di S. Rocco, sulla vecchia strada che da Corvarola porta a Vallescura o a Merizzo. Don Euclide Rapalli che fu parroco ci ha lasciato un suo volumetto " Corvarola " nel quale cerca di ricostruirne la fortificazione e la posizione delle sette torri. Sulla prima torre, ancora riconoscibile, fu costruita in parte la parete sinistra della Chiesa. Sulla seconda torre, molto riconoscibile, vi é la cucina della casa di proprietà di Ravera Ernesto. Sulla terza torre, che ancor oggi mantiene la sua forma, é stata costruita la casa, attualmente abitata da Ghelfi Valentino; questa casa si chiama tuttora " La Torre ". A pochi metri dalla casa di Ghelfi V. vi é una porta in pietra lavorata, che chiudeva l’antico castello malaspiniano. Su di una quarta torre, ancora in buono stato stata costruita in parte la casa, abitata da Fraschini Pietro. La quinta torre doveva trovarsi all’inizio della strada comunale che porta a Tracastello, sotto la Chiesa. La sesta doveva trovarsi al principio della strada, che dalla Cola porta alla Chiesa. La settima si trovava nella località Tracastello, di rimpetto alla Chiesa, esistono ancora i ruderi. Dalla toponimia si desume che Corvarola deriva da fortificazione militare. Le più antiche vicende del castello di Corvarola, secondo lo storico Ubaldo Formentini, sono oscure, ma sicuramente dopo il 1351, data della spartizione del retaggio malaspiniano, fece parte del Feudo di Castiglione del Terziere. La vecchia cappella dovette sorgere per volere dei Marchesi di Castiglione dopo il 1451 ai tempi del pontificato di Niccolò V. Il titolare della piccola chiesa era San Michele Arcangelo, mentre la parrocchia appare nel 1563 con il primo parroco P. Gian Jacopo Gerali originario di Corvarola. La cappella fu ampliata nel 1600, ed è quella che si ammira presentemente. A valle di Corvarola, sulla strada mulattiera che conduce alla via Francigena, ci sono le vestigia dell’oratorio di San Rocco. Anticamente si accedeva al Castello di Corvarola per una strada angusta ed a ciottoli, che fiancheggiava la località detta "Monte". A Croce la strada si diramava: una saliva a Vespeno e l’altra scendeva nel canale di Castiglione per poi risalire e diramarsi ancora: una per il Castello di Castiglione e l’altra per salire alla Casa Mazzini, un tempo monastero dei Servi di Maria di Firenze, che officiavano la Chiesa della SS.ma Annunziata. La strada proseguiva fino a Pagazzana, fiancheggiava il Castello di Bagnone e conduceva fino al Capoluogo. Il Castello della Corvarola, fu costruito dai bizzantini. In località "Biselga" in prossimità della fontana vecchia, vi sono avanzi di mura a secco, e infatti il vocabolo "Baselg" di carattere militare e in greco antico significa posto o stazione di guardia o ancora "Gabel" da gabella. É significativo il vocabolo "Vagi", località sotto Gabbiana, vicina a Corvarola, che risponde alla parola "Vallum" cioé trincea. Da tutto questo il nome giusto della Corvarola deriva da "posto fortificato" secondo il greco antico, perciò deve escludersi l’ipotesi che derivi da "corvi", così come non derivano da vespe o da gabbiani i villaggi di Vespeno e di Gabbiana. Corvarola, é situata su un poggio sottostante la Pieve. Le più antiche vicende del Castello sono oscure; dopo il 1351 fece parte del Marchesato di Castiglione del Terziere. Il suo territorio apparteneva al "vicu", villaggio della matrice Pieve, da cui dista breve cammino. La sua cappella (piccola Chiesa) dovette sorgere per iniziativa dei Marchesi di Castiglione dopo il 1451, se non più tardi, per merito dello Stato Fiorentino, a cui il paese si sotto mise. Sembra che Corvarola si sia staccata dalla Pieve poco prima del 1551, come Bagnone e Merizzo. Seguirà le sorti di Castiglione del Terziere, per finire sotto la giurisdizione di Bagnone.
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GABBIANA In dialetto: Gabiana. Il Paese di Gabbiana, composto da vari agglomerati urbani, Cassolana (Casolana), Grecciola (Grèc’la), Baratti (Barati), Deglio (Dèg), e Favale (Favàl), sono sparsi sul pendio meridionale del Monte Barca, a 382 metri sul livello del mare. La zona è attraversata dalla strada provinciale che unisce Bagnone a Monti di Licciana. Il nucleo più importante, Cassolana, è citato in un atto di divisione di feudi malaspiniani dello spino fiorito, del 1275. Ma le origini di Gabbiana, nel suo insieme, possono datare intorno al mille, se già nel 1187, il 14 dicembre, con un privilegio del Papa Gregorio VIII, si cede la cappella di Gabbiana al Capitolo della Cattedrale di Luni. Da una relazione di una visita pastorale fatta nel 1568 dal Vescovo di Luni, Cardinale Benedetto Lomellini, si desume che la chiesa parrocchiale si trovava tra le frazioni di Cassolana e Gabbiana, dove ancor oggi si possono osservare i ruderi di un vecchio campanile e le mura perimetrali di una costruzione in pietra. La nuova chiesa parrocchiale, dedicata a Sant’Andrea Apostolo, eretta agli inizi del ’900 è stata consacrata nel 1933, mentre il campanile data mezzo secolo più tardi. Gabbiana con il suo territorio faceva parte del feudo del Castello di Castiglione del Terziere e ne seguirà le sorti, entrerà poi a far parte del Comune di Bagnone. L’esposizione soleggiata della zona, permette alla vallata una coltivazione varia, con vigneti ed oliveti.
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LUSANA In dialetto: Lusana. Il paese di Lusana, composto da vari agglomerati urbani, Busseto (Buset), Pregnacca (Pargnaca), Il Pradaccio (Al Pradaz) e Al Muraglione (Al Muragion),si trova a 407 metri sul livello del mare, lungo la strada provinciale che collega Bagnone a Monti di Licciana. La parrocchia dedicata a Sant’Andrea, è di origini recenti. Lusana non compare nelle liste bonificiane della Diocesi di Luni e neppure viene ricordata nelle Visite Pastorali fatte dai Vescovi. Con molta probabilità la chiesa esisteva solo come oratorio alle dipendenze della parrocchia di Gabbiana. Solo verso il ‘600 Lusana assunse carattere parrocchiale. Zona assai esposta al mezzogiorno, permette una coltivazione assai variata, con abbondanti vigneti ed oliveti. Presumiamo che la zona di Lusana, come comprensorio, abbia subito le stesse evoluzioni storiche di Gabbiana, sotto il dominio del Castello di Castiglione del Terziere. sino ad appartenere e a far parte del Comune di Bagnone.
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TRESCHIETTO In dialetto: Tras’cé. L’agglomerato urbano è sparpagliato sulla cresta di una collina in cinque nuclei ben definiti. Castello (Kastèl) a 455 metri sul livello del mare, Chiesa (Cèsa), Querceto (Guarcè), Palestro (Palèstar) e Valle (Vala). Territorio che era accessibile solo tramite vie mulattiere e contornato: dal torrente Acquetta ad ovest, dal Bagnone a sud e dal Tanagorda a nord est, attraversati da due ponticelli con arco a tutto sesto in pietra arenaria di antiche origini. Solo nel 1950 sono state aperte nuove strade carrozzabili, ma sino ad allora inaccessibile. Una vera roccaforte a strapiombo sulla confluenza di due torrenti. Treschietto aveva una notevole importanza, nel passato, per la sua posizione di "tragitto, passaggio" tra corsi d’acqua e valloni. Nel dizionario geografico-fisico-storico della Toscana di Emanuele Repetti (1843) si legge: ".…Treschietto, col suo castello e la chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, è collocato sulle propagini del monte Orsaro nell’alto bagnonese". Treschietto diede il titolo ad un feudo dei marchesi Malaspina di Filattiera, dello spino fiorito, nel 1249 il marchese Giovanni Giuniore approvò lo statuto di Treschietto. Il feudo di Treschietto si componeva allora del Capoluogo e delle ville di Agnola (Agnetta), Biglio, Corlaga, Finale , Jera, Leorgio (Leugio), Palestro, Stazzone e Vico. Il feudo toccò, in seguito alla divisione ereditaria del 1351, a Giovanni Malaspina detto il Berretta, ed in seguito suddiviso tra i suoi discendenti. Corlaga divenne feudo indipendente nella prima metà del 1500 ed erano rimasti solamente con Treschietto i paesi di Vico e di Jera. Legge fondamentale era lo Statuto del 1585 approvato dal Marchese Giovan Gasparo Malaspina, noto per le efferatezze ampliamente descritte dai cronisti dell’epoca e tramandate fino ai giorni nostri. Nel 1698 il marchese Ferdinando, l’ultimo della linea, vendette il suo feudo al granduca di Toscana, Cosimo III. Vendita che causò una controversia tra il granduca, i marchesi di Filattiera ed il fisco imperiale, con alterne vicende di possesso. Finalmente Treschietto col suo territorio fu dato in feudo dapprima al principe Corsini di Firenze, finché nel 1800 fu occupato dai francesi e nel 1814 riunito agli Stati Estensi della Lunigiana. Dal 1805 al 1849 Treschietto fu sede di Comune finendo poi definitivamente aggregato al Comune di Bagnone. In un primo tempo la chiesa era piuttosto considerata una cappella feudale dedicata a Sant’Antonio da Padova, non risulta tra quelle che a quei tempi corrispondevano le decime alla Diocesi di Luni. La prima notizia storica che menziona Treschietto come chiesa soggetta a Luni è datata 7 maggio 1568, giorno della visita pastorale del cardinale Lomellini, si presume sia coincisa la consacrazione della nuova chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista. Nella descrizione del cardinale è pure menzionato anche l’oratorio dei Santi Rocco e Caterina, di cui non rimane nulla ad eccezione di alcuni quadri che sono conservati nella parrocchiale; Chiesa che é stata recentemente restaurata ed é ricca di quadri e statue di importanza storica ed artistica. I ruderi del castello con la torre cilindrata, semi mozzata da un fulmine, sembrano avvalorare la leggenda del marchese Giovan Gasparo Malaspina che dal 1616 vessò i suoi sudditi con ogni sorta di male azioni e si coprì di turpitudini sino al 1678, quando all’età di 62 anni, con grande sollievo del popolo, morì, non certo in odore di santità; veniva infatti chiamato dalla gente il mostro. Di Treschietto c’è chi scrive : "Il sacro ed il profano". Una sacralità antica nella Venere di pietra trovata poco lungi dai ruderi del tristo castello ed una sacralità più recente nella cappella castrense che le strutture difensive, ormai vinte e cadenti, hanno coperto e sopraffatto. Una leggenda tramandata ci fa credere che nei sotterranei del Castello vi sia stato nascosto un vitellino d’oro, ricercato da tanti al punto arrivare a distruggerne le parti migliori, e come tutte le leggende, mai trovato.
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IERA In dialetto: Iéra. Si trova a nord di Bagnone e di Treschietto, sull’alta valle del torrente Bagnone, alle sue sorgenti, sulle pendici dell’Appennino o dell’Alpe tosco-emiliana, a 565 m. s.l.m., sotto la vetta del Monte Sillara, 1861m. s.l.m. Nell’uso locale la parola Alpe, in dialetto Arpa, sta per Appennino. Fa parte di Iera anche la frazione di Sommovalle, poche case prima dell’inizio del paese. La parrocchia intitolata a San Matteo Apostolo, viene menzionata nelle decime bonificiane del 1296, figura negli elenchi della Pieve di Bagnone e dipende dalla Diocesi di Luni. Dal 1350 al 1750 circa fece parte del feudo dei marchesi di Treschietto. Dove sorgesse l’antica chiesa della comunità non c’è dato di sapere con esattezza, ma da una minuta relazione del solito cardinale Lomellini, redatta a seguito della sua visita pastorale nel maggio 1568, si capisce essere ubicata vicina al cimitero in un luogo solitario. Il cardinale riferisce anche di un’altra chiesa, cappella, dedicata a Tutti Santi, che si trova nel paese. Con ogni probabilità, sull’area della cappella, nel 1652 fu terminata la costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale. Sul portale della chiesa si trova infatti una lapide che ricorda l’avvenimento. La chiesa odierna si affaccia su un bel piazzale lastricato, separato sul lato dove scorre la strada del borgo da una cancellata in ferro battuto. La chiesa ha subito un restauro generale ed é in ottime condizioni. In paese si erge un antico edificio, sicuramente marchionale, sulla facciata del quale sono murate delle lapidi in arenaria con scritte indecifrabili. L’antica Jera é situata sulla via mulattiera detta «strada del sale» che biforca in due rami. Una segue la destra del torrente Bagnone, sino alla località capanne di Garbia, e salendo il canale di sinistra del torrente, si inerpica sino alla località Tornini. Antichi castellari, quindi il prosegue per il crinale appenninico e raggiunge il territorio parmense di Valditacca. Strada, nota per i traffici commerciali e per i contrabbandi nel medioevo. L’altra strada invece, attraversa il torrente Bagnone e prosegue per Compione, passando dal Castello di Jera, luogo di gabella, oggi distrutto dal tempo, restano solo alcune murature. Da Compione per la sella del Monte Santa Maria si raggiunge Apella e seguendo il torrente Taverone si arriva al Lagastrello quindi Rigoso e la Val d’Enza nel parmense. Erano queste due strade alternative per oltrepassare il crinale, alla via di comunicazione che collegava il genovese al modenese nel suo percorso più breve, venendo da Albareto, Montegroppo, Adelano, Mulazzo, Villafranca, Bagnone, Treschietto, Jera, Compione, Apella, Rigoso, Val d’Enza. Da Apella, l’alternativa per dirigersi in Val di Tacca (Emilia) o in Garfagnana, quindi in Lucchesia (Toscana). Mi viene voglia di far derivare Jera, che oggi si scrive con la "i" maiuscola, dal termine latino: iens-eùntis = andante, che va, castello del viandante. Invece validi studiosi lo fanno derivare da j-era che é la fase nuova di gl-area e g-ara (con la g di gallo), quindi jara che sta per ghiaia o greto del fiume. Il gruppo gl diede luogo a j e a gi nei derivati di glarea. É da menzionare oggi l’esistenza a Iera di una muraglia antica, forse un vecchio acquedotto, allineato con i vecchi ed ancora esistenti mulini, azionati con l’acqua del torrente Bagnone; oppure i resti di un muro di una vecchia costruzione che molti chiamano segheria.
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COMPIONE In dialetto: Konpión. Alle dipendenze della parrocchia di Iera c’è anche la frazione di Compione a 698 metri sul livello del mare a circa un chilometro e mezzo di distanza, con una Cappellania dedicata a San Leonardo ed un cimitero che un tempo fiancheggiava la chiesetta e che in seguito é stato spostato in altro luogo. Il territorio di Compione, l’agglomerato urbano facevano parte del feudo di Bagnone. Tra Iera e Compione ci sono i ruderi del Castello di Iera che sembra siano i resti di una fortificazione avanzata, non ben definita se facente parte del del feudo di Treschietto oppure del feudo di Bagnone. Il Castello é costruito sul confine tra i due feudi ma in territorio di Bagnone, sulla via che dalla val di Magra conduce alla val d’Enza, oppure edificato in quel luogo a tutelare il confine col feudo di Treschietto e a guardia dei traffici d’uso a quel tempo, con i trafficanti che provenivano dall’alto Taverone, per la riscossione di gabelle e di dazi. Conoscendo l’ingordigia dei feudatari di allora e per dire il vero anche di quella di oggi, il castello ubicato in territorio del marchesato di Bagnone, era sicuramente un posto avanzato a tutela dei diritti di Bagnone. Ho perlustrato la zona, il territorio sembra molto interessante e atto ad una fruga ricostruttiva. Ci sono avanzi di mura perimetrali ed una sala centrale ancora in chiara evidenza. Tutto il resto é stato inghiottito dal tempo e dalla natura, per queste ragioni sarebbe opportuno organizzare una ricerca programmata a scopo didattico, con scavi, per procedere alla ricognizione del sottosuolo per riportare alla luce l’insieme di ciò che resta del castello, monumento importante e di ciò che si riuscirà a trovare. Dalle foto si può sicuramente dare importanza alla zona tanto più che la sua localizzazione é su un costone della montagna con una dominazione visiva delle due valli dei torrenti Bagnone e del Bagnolecchia. Quest’ultimo si snoda lungo la valle di Ronchilunghi tra il monte Bragalata m. 1835 s.l.m. e monte Bocco m. 1791 s.l.m. sul crinale dell’Appennino, a confine col parmense. Ed era questo il percorso che molti hanno definito la "via del sale", strada che permetteva una grande scorciatoia per chi dal genovese o dal zerasco voleva raggiungere la Val d’Enza. Da Compione si sale alle capanne di Compione ed alle capanne dei Tornini a quota m. 1282, antichi castellari diventati poi vecchi rifugi di pastori dediti al pascolo alpestre estivo, dove si produceva il miglior formaggio, la migliore ricotta ed il miglior burro della zona. Una variante, prendendo a destra dopo il cimitero, un sentiero, che attraverso la Sella m. 750 alle pendici del monte Santa Maria, conduce ad una pietraia arenarica chiamata La Cubia. Proseguendo, dopo aver attraversato un bosco di cerri e carpini verso il monte Colla m. 863, si scende verso Apella m. 672, nel comune di Licciana Nardi. L’ultima fotografia merita una considerazione particolare. Si tratta di una fontanella d’acqua pura e freschissima che cola in una vasca che ha servito in passato, da abbeveratoio per gli animali. Oggi di animali non ce ne sono più, il paese si é spopolato, vivono solo animali selvatici, cinghiali, alcuni caprioli, qualche pernice, ma roba da poco. Ma ciò che voglio mettere in evidenza é quella piccola porticina di legno rosso, che si vede a lato della vasca. Non era altro che il frigorifero del paese, ove tutti deponevano, per la conservazione settimanale, la loro produzione di burro che, veniva portato al mercato del lunedì a Bagnone, a dorso d’asino, per essere venduto.
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VICO In dialetto: Vik. Il paese di Vico si trova a nord di Bagnone, è formato da sei nuclei di case, sparsi sulle pendici dell’Appennino tosco-emiliano, lungo la valle del torrente Re di Valle. La frazione Chiesa (Cèsa), è a 401 metri sul livello del mare, le altre sono: Finale (Fnàl), Valle (Vala), Montale (Montal), Canneto (Kanét) e Monterole (Montról). Per l’informazione si deve dire che prima del ‘600 esisteva una settima frazione ubicata fra Montale e Canneto chiamata Cà nova. Fu il secondogenito del Marchesotto, Giovanni Malaspina, detto il Berretta o Berrettazzo, colui che erediterà il feudo di Treschietto e che si sposerà con Masina Picciolini dalla quale avrà: Leonardo, Federico detto il Tedesco, Andrea-Galeazzo e Guglielmo. Il paese di Vico ha cominciato ad avere una certa importanza dopo il 1351, quando il marchese di Treschietto decise, di stabilire in Vico Chiesa la sua residenza e vi dimorò per 25 anni. In questo periodo furono emanati gli ordinamenti di Vico, ai quali ogni successore si attenne. Treschietto, costruito come roccaforte militare difensiva, sarà ampliato ed abitato dai discendenti del Berretta. I Malaspina hanno lasciato alla parrocchia di Vico dei legati per le funzioni del venerdì di maggio, per il mantenimento dell’altare della Madonna del Rosario, e per le celebrazioni delle SS. Messe. La parrocchia dedicata a Santa Maria Assunta, si presume abbia origini lontane, già esistente ai tempi sopra menzionati e non iscritta nella lista delle decime diocesane. perché di appartenenza al feudo. Vico subisce le sorti del feudo di Treschietto. Dall’abitato di Monterole, salendo per raggiungere il rifugio del Matale, in prossimità della Croce, un sentiero sulla destra conduce alla località: la Tecchia dell’Uomo Selvatico e della Ferdana. Alcuni anziani del paese raccontano che fino a poco tempo fa, all’interno di alcune cavità naturali esistenti in quel luogo, si potevano ammirare alcuni utensili in legno: scodelle, piatti e recipienti di varie misure. La leggenda dell’Uomo Selvatico, che ancora oggi é viva in molte zone della Lunigiana, attribuisce a questo misterioso individuo l’invenzione del formaggio e della ricotta. Egli viene rappresentato come un gigante dai capelli neri e colorito scuro; accanto a lui, come nel caso di Vico, vi é una compagna, la Donna Selvatica, che sembrerebbe alludere al ricordo di un gruppo etnico particolare, distinto dalle popolazioni locali. (Da: Bagnone, itinerari montani di Giacomo Grande – Litografia Europa-La Spezia).
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CORLAGA In dialetto: Korlaga. Sorge a nord di Bagnone, a 2,5 chilometri, a 352 metri sul livello del mare, alle pendici dei pre Appennini, gode di un buon clima favorevole all’agricoltura. Si conosce con certezza dalla storia delle Pievi della Diocesi di Luni, che intorno al ‘200 la parrocchia di Corlaga era in piena efficienza, che dipendeva dalla Pieve di Filattiera, mentre più tardi, verso il ‘450 la si trova nell’elenco della Pieve di Bagnone. Nello stesso periodo Corlaga fa parte del feudo di Treschietto e ne subirà le sorti sino alla morte di Giovanni Malaspina detto il Berretta o Berrettazzo. La divisione tra fratelli vede il primogenito Leonardo diventare Marchese di Corlaga. La popolazione in rivolta, contro la tirannia del Marchese, farà passare Corlaga ed il suo territorio, sotto la protezione ed il dominio del Granducato di Toscana. Ed ecco come Edda e Giancarlo Biagini Della Valle raccontano del castello feudale, oggi di loro proprietà. Come tutti i borghi della Lunigiana medievale, anche Corlaga partecipava alla tormentata e perigliosa vita dei repentini passaggi di terre da un dominio all’altro. E la storia annota le continue lotte che si scatenavano sul piccolo fazzoletto di terra che faceva già parte dei quattro Municipi in cui era diviso, fin dai tempi più remoti, il territorio feudale di Treschietto e dal quale poi Corlaga fu avvulsa, per passare sotto il non felice patronato del marchese Leonardo Malaspina. Una dimensione diversa della vita di allora, che rendeva appetibile ciò che oggi é incontrastato dominio di rovi. Un’altra vita, un altro mondo. Una manciata di ettari di terra da sfruttare; pochi prodotti e un "passo" obbligato ed importante da difendere verso le pianure d’oltre Appennino. Una schiera di paesani aggrappati ai lati del Castello per chiedere la protezione del potente e la sicurezza di poter ancora barattare il duro lavoro dei campi, con quel poco che restava dopo l’omaggio delle primizie al "padrone". Di fronte alla Chiesa, esiste oggi una costruzione di tipo patrizio, chiamata "al palazz", il palazzo. E la torre diroccata che sembra nascondersi alla sua ombra e le fondamenta a scarpata di antica struttura portano la fantasia all’epoca in cui il poco amato marchese Leonardo Malaspina spadroneggiava sul feudo di Corlaga con tale e tanta spavalderia e arroganza, da indurre a ribellione la pur rassegnata popolazione del posto. Il ponticello in pietra che ancor oggi avvia al portale d’ingresso del Palazzo fa pensare che il torrentello che gli scorre accanto pigro e indifferente, in un alveo scavato e reso profondo dal tempo, lambisse allora le antiche mura del Castello. Ma le sue acque non seppero proteggerlo dal furore dei corlaghesi in rivolta contro il marchese Leonardo, per le angherie che questi usava perpetrare nei loro confronti. É l’anno 1523 "ab incarnatione", allorché il dì 15 novembre, fu ultimato il restauro del Castello di Corlaga, il marchese Leonardo Malaspina vi si recò ad abitarlo; qui ricevette giuramento di fedeltà dagli Uomini di Corlaga, cosi come lo stesso prometteva di ben governarli e tenerli cari e di non sottoporli giammai ad altri Marchesi, obbligandosi invece nel caso di non poterli tenere sotto la sua potestà, di passarli sotto il dominio della magnifica Repubblica Fiorentina. (Eugenio Branchi, pag. 202). Ma nonostante le promesse, i corlaghesi furono sottomessi a pagamenti di gabbelle enormi e a divieti di usufruire del Molino di Iera impedendone l’accesso e facendo anche "man bassa sopra di loro". Leonardo e gli uomini di Corlaga si rivolsero a Firenze, che impegnò i suoi Ufficiali di Lunigiana a derimere la controversia, tant’é che furono costruiti in Corlaga Torchi e Molini e lo stesso marchese Leonardo ritenne doveroso rinnovare l’accomandigia con Firenze. Ma l’avidità del Marchese e la ristrettezza delle sue finanze lo portarono a tentare di spogliare di un benefizio il fratello del segretario del Duca di Ferrara, ciò invano rivolse le sue violenze impositive sui sudditi. A tal punto i Corlaghesi, sobillati anche dal Noceti, Commissario della Repubblica Fiorentina a Bagnone, si rivoltarono contro il proprio Signore, che incarcerato venne avvelenato. Ma la furia popolare non si placò ed il popolo venuto a conoscenza che i figli del Marchese volevano insediarsi, guidati da un certo Orsino di Stazzone, assalirono il Castello facendo strage degli eredi, distruggendo il maniero e tutti gli arredi. Su questi avvenimenti se ne raccontano tante, e attorno al fuoco di un "gradile", nelle lunghe sere invernali, un anziano cantastorie declamava la leggenda della "Margarela".[V.] Nonostante le rivalse dei Marchesi di Treschietto, l’Imperatore concesse, in forza dell’atto di dedizione degli Uomini di Corlaga, che tutto il feudo marchionale di Corlaga rimanesse nelle mani del Duca di Firenze. Il Senato di Milano ordinò di “aprire un’inchiesta”, come si direbbe oggi, per conoscere i fatti e accertare le responsabilità della rivolta e degli omicidi. Il risultato fu – allora come oggi – che 15 rivoltosi di Corlaga furono formalmente condannati, seppure in contumacia, ma attesa la dedizione al Duca di Firenze, da ogni pena andarono immuni. Con risultato referendario Firenze pretese dagli eredi del marchese Leonardo la cessione delle ragioni loro sopra Corlaga, che avvenne con atto stipulato il 20 Gennaio 1551. Gli eredi scampati alla carneficina, raccolti a Filetto dallo zio Don Buttini presero nuovamente possesso dei beni fondiari di loro proprietà per diritto di allodio e vennero ad abitare nell’antico Castello, che fu ristrutturato in Villa Fortificata. In età moderna, il Castello/Villa Fortificata/Palazzo di Corlaga é passato di proprietà della famiglia Biagini, del Castello di Pozzo, per atto ereditario acquisito dal beneficiario Telesforo, in tenerissima età. Chi vive oggi fra queste mura avverte la consapevolezza di abitare in un ambiente che trasuda storia e leggenda e che si oppone alla banalità della vita esterna; qui la storia si perde nella fantasia e nella suggestione dei grandi fatti che vi si sono consumati. La parrocchia dedicata a San Pietro e Paolo Apostoli, vede la sua chiesa al centro del paese. Anche se non si conosce la data della sua costruzione, la si fà risalire al 1500, eretta sulle fondazioni di una chiesetta primitiva. Corlaga conta tre borghi importanti: Stazzone (Stazón) a 361 metri s.l.m., Leugio (Léugiu) a 361 metri s.l.m., Agnetta (Agnéta) a 404 metri s.l.m., ha un Oratorio dedicato alla Visitazione di Maria Vergine.
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LA LEGGENDA DELLA MARGARELLA Di Edda e Giancarlo Biagini Della Valle. Ma un’altra storia, quella non scritta, (ma che noi oggi scriviamo per i posteri, n.d.a.), racconta gli avvenimenti di quel tempo con la suggestione della leggenda e ammanta i fatti della dolorosa consapevolezza che ieri, come oggi, troppo spesso i figli innocenti diventano vittime degli errori dei grandi. Tanti anni fa, quando la storia era più spesso trasmessa con la semplicità del racconto di un vecchio, che nelle valutazioni dotte degli storiografi, capitava di ascoltare la leggenda della "Margarella". Attorno al fuoco di un "gradile" (voce dialettale per essiccatoio delle castagne, n.d.a.), nelle lunghe serate invernali, un anziano cantastorie raccontava la "sua verità" sull’eccidio del Castello. In un’atmosfera vibrante e tesa, piena di strane e fugaci figure, animate dalla fiamma e della suggestione del racconto, il narratore ripeteva la storia ascoltata tanti anni prima dal nonno o dal bisnonno. Quando i rivoltosi penetrarono nel Castello, vi trucidarono senza pietà i suoi abitatori; soltanto una fanciulla di nome Margherita e affettuosamente da tutti chiamata Margarela, riuscì a sottrarsi al cieco furore degli assalitori e fu portata in salvo dalla fedele cameriera. Una fuga senza respiro tra i boschi della "Fola" (monte di Biglio m. 812, n.d.a.), nascondendosi tra castagni e cerri, e una breve fermata ad una fonte per dissetarsi e riposarsi un poco. Ma gli inseguitori, pervicaci per l’odio che li accecava, le raggiungono e sacrificano la fanciulla al loro desiderio di vendetta. Da allora, la piccola fonte querula e limpida come l’innocenza di quella fanciulla, fu chiamata da tutti "la fontana d’la Margarela".
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ORTURANO In dialetto: Alturàn. Sino al 1500 Orturano non ha mai avuto una propria storia indipendente, fino al 1351 seguì le sorti dei Malaspina di Filattiera, unito al feudo di Malgrate. Nel 1500, per estinzione del ramo dei Malaspina di Malgrate, Orturano passa sotto gli Ariberti di Cremona, per decisione della Camera Imperiale Spagnola di Milano. Verso la fine del secolo XVII subentra il nome di un’altra famiglia del nord, i Freganeschi, sino all’arrivo, nel secolo XVIII del Granduca di Toscana, quando subentrò nel feudo di Malgrate. Si arriva alla Rivoluzione Francese che elimina ogni tipo di dominazione feudale. I successivi passaggi vedono Orturano sempre legato alle sorti di Villafranca, sia dal punto di vista amministrativo che politico. Solo verso la fine del 1800, per motivi geografici ed economici, Orturano viene annesso a Bagnone in seguito ad una consultazione popolare. Con Orturano sono comprese le località di Canale (Kanàl), Giunasco (Junàsk), Nombria (Numbria) e Vaggia (Vàgia). Orturano si adagia sulle pendici di un contrafforte appenninico che si estende sino alle rive del Magra, dopo aver conglobato anche il Castello di Malgrate, in una ridente posizione geografica, esposta al sole per tutto il corso della giornata. Zona coltivata a vigneti, oliveti, coltura varia, ed in alto da castagni e boschi cedui. Il paese si divide in due parti: Orturano di Sotto, altezza 362 metri sul livello del mare. Orturano di Sopra, altezza 405 metri sul livello del mare. La comunità cristiana di Orturano, con una sua modesta cappella, attorno al 1200 è alle dipendenze della Pieve di Sorano di Filattiera, sempre sotto la Diocesi di Luni. La parrocchia di Orturano acquista la sua autonomia solo nel 1598, é quindi in questo periodo che la chiesa è stata ampliata e consacrata al culto parrocchiale, dedicata a Santa Maria Assunta in Cielo Tra Orturano di Sotto e di Sopra lungo l’antica strada mulattiera, si trova un antico Oratorio dedicato a San Giuseppe, dotato di una campana, che a detta di Fra Ginepro, proviene dalla romanica chiesa di San Lorenzo di Gragnana.
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CANALE In dialetto: (Kanàl). Si considera con Orturano anche la più elevata frazione, Canale, altezza 500 metri sul livello del mare, a circa un chilometro e mezzo da Orturano di Sopra. Vi sono antiche abitazioni, con antichi portali e stemmi di famiglie tra le quali i Bernabovi, i Berni e i Landini. Canale in antico è sorta come stazione militare d’osservazione, era dotata di casupole e capanne per il ricovero delle vedette e dei pastori. Più tardi si edificheranno le prime case in muratura, poi, pare anche una torre di avvistamento, della quale non rimane più traccia, possibile la sua esistenza considerata la propizia posizione idonea per l’osservazione su tutta la vallata percorsa dalla strada Romea. Anche in questa posizione, dominante la valle del Magra, in tempi antichi, sul monte di Biglio a m. 812, si rifugiavano le antiche popolazioni per fuggire agli invasori. Luogo di battaglie romaniche, esiste una località tutt’oggi chiamata “Pianello dei Morti". Canale fa parte della parrocchia di Orturano. Dopo Canale si sconfina nel territorio del Comune di Filattiera, in direzione Biglio e Serravalle. Confini con il territorio del Castello di Malgrate e quello della Rocca Sigillina.
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BIGLIO In dialetto: Big. Piccola frazione di una decina di case, aggregata al Comune di Bagnone, già del Feudo di Treschietto, a 647 m. s.l.m., accessibile da Irola con strada mulattiera, oppure da Gigliana in Comune di Filattiera con strada carrozzabile. Solo recentemente é stata costruita una strada per il taglio della legna, da Vico Valle si può arrivare a Biglio con un fuoristrada, passando per la Prada di Bosta e dalla Fola a circa 800 m s.l.m. Secondo il Prof. L. Armando Antiga, nel suo studio " Studi e ricerche sull’alta Lunigiana" – Tipografia Artigianelli, Pontremoli, a pag. 66 descrive "l’antica strada lombarda", al tempo della dominazione Longobarda, unica strada di transito, nel Medioevo, sul lato sinistro della Magra, quando le condizioni di viabilità della Lunigiana erano ben diverse. Il ricercatore pone Biglio come caposaldo di transito sull’alta valle del torrente Monia. La parrocchia, é costituita da un Oratorio dedicato a S. Giacomo maggiore, é canonicamente unita ad Irola, il cui parroco vi celebra, la Domenica e le altre feste di precetto; é sempre stata nominata come Parrocchia di Irola e Biglio. Biglio, venne unita a Bagnone con il regolamento Leopoldino del 24/2/1777.
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