Arrampicare in primavera

Dopo il letargo invernale fatto solo di arrampicate in palestra, stressanti non solo per il corpo, ma soprattutto per la mente perché non permettono di gustare quella magnifica sensazione che si prova solo quando cielo, uomo e roccia si uniscono in una simbiosi quasi primordiale, eccoci finalmente in montagna. Generalmente d’inverno il climber non ha molte possibilità di arrampicare all’aperto, le giornate sono più corte, spira quasi sempre vento freddo, la roccia è spesso gelida e ci intorpidisce le articolazioni delle dita e, fatto non sottovalutabile, bisogna trovare un pazzo disposto ad accompagnarci per assicurarci visto le condizioni limite; quindi la scelta più ovvia è: andare in palestra. La palestra è avara di emozioni, non esistono imprevisti, le vie sono sempre le solite, le prese sono ripetitive fino alla nausea, però è terreno ottimo per chi comincia e per chi deve tenersi in allenamento quando per cause di forza maggiore bisogna stare distanti dalla montagna, impedisce che svaniscano i calli sulle dita, permette di mantenere tonicità muscolare e agilità.

Però la montagna è altra cosa, soprattutto in primavera quando si risveglia la natura, quando il bum dei turisti è ancora impercettibile, quando il cielo è terso dalle nuvole, quando l’aria è frizzantina. Quando nell’arrampicare è facile sentire il canto di un falco pellegrino, vedere con che leggiadria volteggia nell’aria. In primavera, soprattutto se d’inverno ci siamo lasciati intorpidire dall’ozio e dalle gozzoviglie, sarà bene cimentarsi in terreni semplici, in piste alla portata, non strafare è la parola d’ordine! Potrebbe essere pericoloso, potremo prendere strappi che ci pregiudicheranno l’intera stagione, quindi andiamo in vie che conosciamo, che sappiamo essere abbondantemente alla nostra portata e lasciamo i record per quando saremo più allenati. Ho fatto la mia prima uscita all’aperto 2002 la prima settimana di aprile, un po’ in ritardo rispetto agli anni passati, ma un po’ l’influenza, un po’ il lavoro che non mi da tregua e il freddo che paradossalmente si è fatto sentire i primi giorni di primavera mi hanno portato a rimandare di settimana in settimana fino ad aprile.

Per la prima uscita dell’anno ho scelto un posto che conosco bene e non troppo lontano da casa, sono andato a Equi terme, lungo il torrente che passa proprio davanti alla grotta, si trovano delle vie abbastanza facili, intorno al 6. La preparazione dell’attrezzatura è stata disordinata come al solito; le corde erano in macchina dall’anno scorso, le scarpette in palestra, la cintura nel fondo, lo zaino in casa della mia ragazza; però mentre mi preparavo mi sembrava già di essere lì, ripetevo mentalmente quei passaggi fatti decine e decine di volte, ma che ogni volta mi sanno regalare emozioni nuove e … aumentava la voglia. La mattina sveglia alle sei e di corsa a prendere la mia ragazza, poi appuntamento alle otto al bar a Soliera con gli altri amici e via a percorrere gli ultimi chilometri che ci dividono da Equi Terme; un’occhiata attenta sotto il ponte al Lucido a scorgere qualche trota scampata alla ressa dell’apertura ed eccoci finalmente arrivati.

Scendiamo dalle macchine in uno scenario quasi irreale: tutti i villici (termine dialettale per definire le persone che vivono in un paese di campagna) ci guardano con un’espressione tra lo stupore e la compassione per quel gruppo di ragazzi carichi come muli e vestiti con quei colori bizzarri. Dicevo scendiamo dalle macchine e percorriamo gli ultimi metri che ci separano dalle nostre pareti. Eccoci finalmente proprio all’attacco della prima via, è quella un po’ più facile, se fosse giugno non ci fermeremo neppure, ma tutto sommato per scaldarci va più che bene. Ci cambiamo e tiriamo fuori le corde; sono io il primo a salire, senza magnesite perché l’ho dimenticata a casa e me ne sono accorto solamente al terzo passaggio. Salgo come un bradipo, i miei movimenti sono lenti, lentissimi, non solo per scaldarmi, ma anche per godere a pieno dello spettacolo che mi sta offrendo la natura finché i miei amici non gridano di darmi una mossa perché vogliono salire pure loro, allora accelero, brucio quei 18 passaggi e scendo.

Salgono pure gli altri e così via per tutta la giornata, saliamo e scendiamo alternativamente da varie vie fino ad arrivare al momento di tornare a casa. E’ stato entusiasmante, siamo tutti molto stanchi, ma felici e grati della fantastica giornata trascorsa. La montagna non è mai avara di emozioni, va rispettata per questo, va "amata", ognuno di noi è responsabile e pienamente consapevole di ciò che fa, non dobbiamo mai abbandonare i nostri rifiuti, perché se tutti noi facessimo così trasformeremo le nostre bellissime montagne in discariche a cielo aperto, è opportuno sensibilizzarci in questo senso; è vero che a volte è più comodo lasciare ciò che non ci serve, ma se abbiamo fatto la fatica di portarlo fin lassù possiamo fare lo sforzo di riportarcelo indietro, in fin dei conti di solito la strada del ritorno è in discesa; nessuno ci dirà grazie, è vero anche perché non avremo fatto altro che il nostro dovere di persone civili.