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Questo itinerario ha inizio da Arnetola (quota 900) e conduce alla vetta del Monte Tambura (m. 1890) transitando per il Passo della Tambura (m. 1670) fino al passo il sentiero ricalca perfettamente il percorso della Via Vandelli. La valle di Arnetola è raggiungibile dal Lago di Vagli: si oltrepassa Vagli di Sotto e si giunge a Vagli di Sopra; giunti all’uscita del paese incontriamo un bivio, noi dobbiamo andare a sinistra, tralasciando la strada di destra che conduce alla splendida conca di Campocatino, e in pochi minuti giungiamo nella Valle di Arnetola, dominata a sinistra dalle cave di marmo del Monte Pallerina e a destra dalla rupe dove si trova l’ Eremo di S. Viano. Prima di affrontare l’ardua salita che porta da Arnetola al Passo della Tambura (m. 1670), è doveroso spendere alcune parole su questa strada di notevole importanza storica che era nata per mettere in comunicazione Modena con Massa valicando l’Appennino e le Apuane. |
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La Via Vandelli – Nel marzo 1738, per motivi politici, fu concordato il matrimonio, che sarebbe poi avvenuto nel 1741, fra Ercole Rinaldo d’Este, erede del Duca di Modena, e Maria Teresa figlia del Duca di Massa Cybo – Malaspina: per questo motivo, ma anche per assicurarsi un sbocco sul mare, il Duca di Modena Francesco III° d’Este commissionò al suo ingegnere, l’abate Domenico Vandelli (1691/1754), la costruzione di una strada che unisse Modena a Massa evitando, per ovvie ragioni territoriali, di transitare sia attraverso lo Stato Pontificio sia attraverso il Granducato di Toscana e sia attraverso il Ducato di Lucca. Il percorso risentì di questi impedimenti e delle difficoltà di attraversare la catena appenninica e le Apuane: valicò il primo ostacolo al Passo di San Pellegrino in Alpe e il secondo al Passo della Tambura (m. 1670). La strada fu iniziata nel 1738 e terminata nel 1751, ma non riuscì così come di voleva che fosse: l’asprezza del terreno nel versante apuano non ne rese agevole la costruzione nonostante che per costruirla si fossero impiegate maestranze provenienti dal Piemonte specializzate nella costruzione di muri a secco per sostenere la Via nei tratti più ripidi. |
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Da Modena la Via Vandelli si dirigeva a Pavullo nel Frignano quindi a Barigazzo per salire, poi, al Sasso Tignoso sopra Sant’Anna Pelago e per l’Imbrancamento e Santona valicava poi l‘Appennino al passo di San Pellegrino in Alpe. Scendeva poi da Chiozza verso la Garfagnana e svoltava a destra prima di Castelnuovo per dirigersi verso la valle dell’Edron a Fabbriche di Careggine: per chi avesse visitato questo paese sommerso dal lago di Vagli durante uno dei decennali svuotamenti del bacino artificiale è opportuno ricordare che la Via Vandelli attraversava il paese sopra il caratteristico ponte. Da qui la strada saliva verso la Valle di Arnetola, oltre Vagli di Sopra, per affrontare l’ardua ascesa al Passo della Tambura: questo passo, così come lo vediamo adesso, fu allargato artificialmente con le mine per farvi passare la Via. Da qui la strada precipita verso Resceto superando un dislivello di 1.100 m. in appena 6 km. grazie all’abbondante uso di muri a secco (questa parte di strada è stata recentemente restaurata con grande perizia da parte della Comunità Montana ed è in ottimo stato) per poi terminare a Massa. |
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Tutto questo l’ ho narrato perché è opportuno e doveroso conoscere anche le vicende storiche dei luoghi dove facciamo le escursioni: quanto storia sotto i nostri piedi salendo la Vandelli! Itinerario – Come detto, giungiamo nella Valle d’Arnetola e parcheggiamo l’auto: procediamo lungo la marmifera che coincide con il sentiero CAI n. 35. Superiamo alcuni vecchi edifici che sorgevano lungo la Vandelli e che fungevano anche da ricovero e giungiamo a 967 m. di quota dove sorgono gli edifici di Caprareccia: qui dobbiamo andare a destra sempre seguendo la Via Vandelli e il sentiero 35, tralasciando lo stradello che a sinistra conduce al Passo Sella (m. 1500). La salita è continua ma sempre su marmifera, quindi la pendenza non è eccessiva: perveniamo così alla base del contrafforte nord – est del Sella, che aggiriamo sulla destra per giungere alla cave di Formignàcola., tutt’ora in attività. Superiamo anche il costone che fa capo al Monte Focoletta e lasciamo le cave e la marmifera: il sentiero, che ricalca sempre la Via Vandelli, diviene ora più stretto per inoltrarsi in un bosco di faggi. |
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Proprio in questa zona si può notare la massicciata della Via Vandelli: infatti qui si è conservata abbastanza bene. Incontriamo, poi, un luogo noto come Fossa dei Morti; la leggenda afferma che proprio qui una carovana di mercanti estensi, diretti a Massa, incontrasse una improvvisa e tremenda bufera di neve che li sorprese uccidendoli tutti. Proseguendo aggiriamo la base della Tambura, punteggiata di faggi: il sentiero e la Vandelli risalgono il vallone con numerosi tornanti per giungere ai piedi della Passo della Tambura, dove incontriamo a 1562 m. una fonte, l’unica di tutto il percorso. Dalla fonte in pochi minuti giungiamo al Passo della Tambura (m. 1620), che è stato riscavato e risagomato con le mine al tempo della costruzione della strada: sono trascorse circa 2 h da quando abbiamo lasciato la Valle di Arnetola. Dal passo eccellente panorama sul Tirreno e la catena Apuana, ma non c’è tempo da perdere perché ora ci attende l’aspra salita che conduce alla vetta del Monte Tambura: andiamo ora a destra seguendo il sentiero CAI n. 148. |
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Il sentiero percorre la cresta sud della montagna su terreno ghiaioso: è bene prestare un po’ di attenzione perché procedere su questa graniglia può essere anche pericoloso. Giungiamo così ad una anticima e poi in vetta al Monte Tambura (m. 1890), splendida piramide di marmo bianco, dalla quale di gode un panorama incredibile: è trascorsa 1 h da quando abbiamo lasciato il Passo della Tambura e 3 h da quando siamo partiti da Arnetola. La Tambura è la terza vetta delle Apuane (dopo Pisanino e Cavallo) ed ha la forma di piramide con base triangolare: da qualunque parte dell’Appennino e delle Apuane la si osservi balza evidente alla vista la forma triangolare della vetta e il colore bianco che la contraddistingue. E’ una delle più belle ed imponenti vette delle Apuane e con la sua imponente mole domina la città di Massa: mole che ha sempre impressionato fino dai tempi più antichi tanto che Dante nella Divina Commedia (Inferno canto XXXII° versetto 28), per evidenziare il massiccio strato di ghiaccio nel quale sono rinchiusi fino al viso nell’ottavo cerchio (Cogito) i traditori, afferma che non si sarebbe spezzato nemmeno facendoci precipitare sopra la Tambura e la Pania. |
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“Che se Tambernicchi vi fosse caduto o Pietrapana non avria pur dall’orlo fatto cricchi”. (Tambernicchi sta per Tambura e Pietrapana sta per Pania). Il percorso inverso per fare ritorno ad Arnetola richiede circa 2,5h di cammino per un tempo totale di escursione di 5,5 h. Dal bellissimo libro “Le leggende delle Alpi Apuane” di Paolo Fantozzi per le edizioni Le Lettere estraiamo: La fossa dei Morti – Arnetola è una valle di origine glaciale attraversata ancora oggi dall’antica Via Vandelli. Proprio nel punto in cui la strada inizia a salire c’è un luogo conosciuto come la “Fossa dei Morti”. Era una notte d’inverno della seconda metà del XVIII secolo, mentre alcuni mercanti estensi si recavano a Massa per fare rifornimento di sale, cominciò a nevicare così forte che in poco tempo la neve ricoprì la strada, cancellandone ogni traccia. I cavalli e i mercanti, attanagliati dal gran freddo e accecati dalla neve che, spinta dal vento, batteva contro i loro voti, non riuscirono a proseguire e morirono tutti sepolti dalla neve. |
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Per molto tempo i cavatori di marmo che percorrevano la strada alle prime luci dell’alba e i pastori che salivano verso la Tambura con le loro greggi hanno raccontato di aver sentito urla e grida strazianti provenire da quel luogo. Oggi, quando un’abbondante nevicata si sta abbattendo nella valle di Arnetola, si sente un lugubre suono di corno e un precipitoso scalpitio di cavalli. La via Vandelli fu il percorso obbligato di mercanti e viandanti che si spostavano da un versante all’altro della montagna per commerciare sale, formaggio e altri generi alimentari e non. Intorno a queste persone si aggiravano spesso, invisibili e silenziosi, numerosi briganti e malfattori che si nascondevano dietro grossi faggi e dentro umide grotte. Il Duca di Modena ordinò che chiunque fosse stato catturato per avere commesso azioni di brigantaggio avrebbe dovuto pagare con la propria testa; nel tratto che scende verso Resceto si possono osservare, lungo il bordo della strada, alcuni fori dove venivano inseriti dei pali ai quali si appendevano le teste dei briganti acciuffati e giustiziati. |
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Queste immagini rimasero a lungo impresse nelle menti degli abitanti di quei posti che cedettero per molto tempo, passando di notte dal passo della Tambura, di poter incontrare il fantasma di un brigante avvolto in un pesante tabarro di colore scuro, con un cappello dalle ampie tese e con in mano una lanterna. Chiunque lo avesse incontrato sarebbe stato irrimediabilmente spinto giù per i burroni della Tambura, senza alcuna possibilità di potersi salvare. La voce della Tambura – Non solo briganti e malfattori si aggiravano di notte per i versanti a strapiombo e solitari del Monte Tambura, ma anche gli streghi, cioè persone in grado di fare sortilegi e malie nei confronti degli esseri umani, trasformarsi in animali, ritrovarsi a balli e feste. Stanno di notte sui noci come tanti lumini accesi, ma è sufficiente piantare un coltello nella corteccia di un albero per imprigionarli e proteggersi dal loro potere. Di notte si potevano trovare ovunque, soprattutto nei luoghi oscuri e solitari e , quando venivano disturbati, potevano anche fare del male. |
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Per diverso tempo, nelle prime ore della note, per i boschi del monte Tambura si sentiva una voce lamentosa che si diffondeva per tutta la vale sottostante. Era una voce triste e profonda che chiedeva insistentemente: “Per chi è fatta la notte? Ditemi, per chi è fatta la notte?”. Nessuno riusciva a capir il significato di quella domanda e, pensando si trattasse di qualche pazzo che vagava nei boschi, non ci prestava più attenzione. Poi un giorno arrivò in paese un uomo che conosceva bene le abitudini degli streghi e, al sentire quella voce insistente, replicò urlando a squarciagola:” Per me, per te e per tutti quelli che devono stare lontani dal sole”. E così da quel giorno, nei boschi della Tambura non si sentì più la voce lamentosa e tutti furono concordi nel credere che appartasse allo spettro in uno strego condannato a vagare inquieto per le balze scoscese del monte Tambura. La cintola del ferro – Chi guarda la Tambura da Vali può notare alcune striature sul fianco della montagna che contrastano col colore pallido della superficie marmorea. |
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Ce n’è una in particolare che si distingue meglio delle altre per il più ampio spessore: è la cintola del ferro che collega la Carcaraia con il passo della Tambura. Era un passo difficile per i pastori che spostavano i loro greggi da un alpeggio all’altro durante la stagione estiva, perché era facile che qualche pecora inciampasse perdendo l’equilibrio e andando a finire giù per i canaloni del monte Tambura. Un giorno accadde proprio al pastore Verdini di perdere il suo montone in quel punto maledetto e, oltre al dispiacere per aver perso l’animale, il pastore era soprattutto dispiaciuto per l’antico campano fatto a mano che, da generazione in generazione, si tramandava in famiglia e ne rappresentava un alto segno distintivo. In seguito, con grande gioia del pastore, il campano fu ritrovato accanto allo scheletro del montone e si dice che le poche persone che si siano trovate a passare di notte nei dintorni del luogo abbiano sentito dei misteriosi belati e abbiano visto dei giganteschi animali balzare nel vuoto da quell’esile pista intaccata nel ferro della Tambura. |