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Con i suoi 1758 m. il Monte Amiata è la vetta più alta della Toscana meridionale: i suoi boscosi pendii sono l’ideale per chi ama fare passeggiate senza superari dislivelli eccessivi; io avevo sempre visto la sua cima durante le mie escursioni nella Toscana del sud e quest’anno (precisamente il 19 maggio 2003) ho deciso di arrivare al vertice di questa grande montagna. Geografia – Il massiccio dell’Amiata è formata da una dorsale di circa 20 km. che va in direzione nord – est, sud – ovest partendo dal Poggio dell’Ermicciolo (1100 m.) arriva ai 1758 m. della vetta e quindi degrada con una serie di poggi che vanno dall’anticima della Montagnola (1571 m..) al Poggio Bello (1303 m.) al Poggio della Pescina (1198 m.), al Poggio Pinzi (1198 m.) fino al Poggio Trauzzolo (1200 m.); pur essendo di origine vulcanica il massiccio non si presenta con la classica forma a cono bensì come una serie di poggi posti lungo la linea di frattura della crosta terrestre. Le eruzioni hanno sovrapposto alle originarie formazione geologiche un massiccio strato di lava che, solidificandosi, ha originato una roccia porosa particolare (vedi foto della vetta dove è posto il cippo dell’IGM, Istituto Geografico Militare) detta trachite: questa roccia è molto porosa e ricca di fessure e questo permette all’acqua piovana di penetrare in profondità fino a quando non incontra uno strato di rocce impermeabili e,quindi, fuoriesce come acqua di sorgente. |
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Questa conformazione geologica spiega la grande ricchezza d’acqua dell’Amiata: una prima linea di fuoriuscita delle acque si ha intorno ai 1000 metri di altezza e questa dà origine a fossi e torrenti i cui più importanti sono il Vivo, il Vetra e l’Ente; a quote più basse nascono fiumi come il Paglia e il Fiora, anzi da quest’ultimo ha origine il grande acquedotto del Fiora che alimenta tutta la Maremma, e non solo, ma a Santa Fiora (vedi itinerario omonimo) è possibile ammirare le grandi bocche sorgive del fiume alla Peschiera costruita nel 1700. L’Amiata, inoltre, è anche un immenso campo geotermico poiché l’antica attività del vulcano non è ancora del tutto sopita e gli strati rocciosi profondi sono tutt’ora molto caldi e capaci di portare le acque che vi vengono a contatto a temperature elevatissime: queste acque risalgono in superficie in grandi soffioni di vapore che vengono sfruttati dall’uomo per muovere le turbine di alternatori e fornire, così, energia elettrica. Fanno parte dell’area amiatina, anche se non sono di origine vulcanica, il Monte Labro (vedi itinerario omonimo) e il Monte Civitella: il primo, posto a sud – ovest, con i suoi 1195 m. costituisce lo spartiacque tra il bacino del bellissimo fiume Albegna, che scorre verso la Maremma, e il torrente Ente, che scorre verso l’Orcia e la sua sagoma da paesaggio lunare è riconoscibile da ogni direzione anche per la presenza sulla sua sommità di una torre di tipo nuragico costruita ai tempi in cui il monte stesso era legato alla storia del movimento sociale e religioso della chiesa giurisdavidica fondata da Davide Lazzaretti, il profeta dell’Amiata. |
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L’ambiente – La foresta dell’Amiata è una degli ambienti naturali di alta montagna più belli di tutta la Toscana: la faggeta, quasi tutte con piante d’alto fusto, occupa le quote superiori ai 1000, 1100 metri: il versante nord – ovest, da Rigale a Pozza di Catania, fino alla vetta è occupato da una estensione continua di questi alberi interrotta solo ogni tanto da zone rimboschite con conifere; nel versante opposto, invece, lungo le pendici meridionali (da Podere Cipriana alle Metatelle) accade il contrario con abeti e pini dominanti ed il faggio che ogni tanto interrompe questa continuità. Sotto i 1000 metri predomina il castagneto, sia ceduo che coltivato, quest’ultimo in modo particolare nella fascia posta alle spalle di Castel del Piano e Arcidosso: qui castagni plurisecolari sono immersi in un terreno che è tenuto dall’uomo come un giardino e infatti la raccolta delle castagne impone la pulitura del terreno che, iniziata nel mese di agosto, trasforma il sottobosco in un prato perfettamente rasato. Nella montagna non mancano, però, altre specie vegetali soprattutto carpini, aceri e ornelli e tutte le piante tipiche del sottobosco come lamponi, rovi da more, ginepri, biancospini e grandi felceti e ginestreti; le grandi zone prative si limitano al corno di Belluria (quota 1580, al Prato delle Macinaie e al Prato della Contessa posto nell’insellatura tra la Montagnola e la vetta. Spostandoci nella zona di Castell’Azzara la flora si riavvicina molto a quella tipica mediterranea con zone di cerreto e lecceto anche se non mancano del tutto faggi ed abeti: in questa zona buona parte del territorio è stato ridotto a pascolo ma sono ancora presenti tre residui elle lussureggianti foreste di un tempo come il bosco della Fonte, sul Monte Penna, costituito da una delle poche stazioni di acero campestre esistenti in Italia allo stato spontaneo e da due aree di abete bianco, la prima detta del Convento della SS. Trinità si trova vicino Selva di Santa Fiora sul Monte Calvo e l’altra, detta del Pigelletto, sulle pendici del Pampagliano vicino all’ingresso dell’ex miniera Argus. Per ciò che concerne la fauna fra i grandi ungulati sono presenti daini, caprioli, cinghiali mentre fra i piccoli carnivori si incontrano volpi, faine, donnole, martore ; sull’Amiata si trovano anche ghiri, scoiattoli, istrici, tassi e molto ricca è l’avifauna sia diurna che notturna con poiane e gheppi, ghiandaie e gazze in modo particolare. |
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L’uomo – La montagna è stata abitata fin dall’epoca preistorica come testimonia, ad esempio, la grotta dell’arciere posta nella scogliera rachitica che da Abbadia S. Salvatore porta a Rifugio Amiatino: dopo la lunga dominazione etrusca prima e romana poi, alla caduta dell’impero romano d’occidente, tutta la zona divenne dominio dei longobardi e a loro si deve l’affermazione dell’Amiata come centro di potere economico e militare soprattutto in conseguenza dello spostamento della via Cassia verso la val d’Orcia e le pendici dell’Amiata dato; questa via, infatti, transitava per la Val di Chiana ma era troppo insicura perché troppo vicino al confinante impero Bizantino che ancora possedeva l’Italia centro orientale. Nel IX secolo poi l’unica via che collegava Roma alla Francia (detta appunto Via Francigena) era quella della Val d’Orcia: l’impellente necessità di istituire un controllo su questa via dette origine alla fondazione di una abbazia (l’odierna Abbadia San Salvatore), che divenne molto potente. Questi grandi prestigio e potenza vennero progressivamente delimitati dall’affermazione della famiglia degli Aldobrandeschi che dominarono sull’Amiata e sulla Maremma dal IX al XII secolo: numerosi e anche abbastanza ben conservati sono i castelli costruiti da questa grande casata sulle pendici dell’Amiata. La storia più recente di questa grande montagna, soprattutto negli ultimi cento anni, è legate alle attività delle miniere di mercurio che hanno fornito per decenni gran parte della produzione mondiale di questo minerale: il lavoro in miniera sostituì all’economia agricolo allora dominante. Nella seconda metà del XVIII secolo si affermò il movimento di riforma religioso – sociale fondato da Davide Lazzaretti (vedi itinerario per il Monte Labro), finito tragicamente nel sangue. |
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Itinerario di vetta – La vetta del Monte Amiata è raggiungibile da tutti i suoi versanti, basta seguire la segnaletica sia che si giunga a Arcidosso, Castel del Piano, Santa Fiora, Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore, Santa Fiora, ecc.: una volta lasciata la macchina nei parcheggi che servono i campi da sci, ci si incammina lungo i lati della pista per giungere in pochi minuti di cammino alla grande croce metallica dalla quale una terrazza panoramica ci permette una visione incomparabile: tempo permettendo, lo sguardo può spaziare su tutta la Maremma e l’Alto Lazio. Dopo la croce, in pochi minuti di cammino si giunge nei pressi della Madonna degli scouts, posta sopra una serie di rocce di origine trachitica e dove è situato il segnale di vetta dell’IGM (Istituto Geografico Militare) datato 1935: anche da questo luogo il panorama è eccellente e spazia su tutta la Toscana Meridionale, segnatamente Val d’Orcia con Montalcino in evidenza. Unica nota stonata è che sulla vetta dell’Amiata c’è una eccessiva antropizzazione dell’uomo: innumerevoli antenne, ristoranti, negozi di ricordini, ecc, ecc., ce ne sono veramente troppi e,soprattutto, anche sulla cima. N.B. Le notizie sul Monte Amiata sono tratte da “A piedi in Toscana” volume 1 di Antonio Arrighi e Roberto Pratesi Edizioni Iter. |
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Dal Dizionario Corografico della Toscana scritto dal cav. Repetti apprendiamo alcune notizie sul Monte Amiata: questo dizionario è stato pubblicato nel 1855 e tratta della nostra regione e di tutti i suoi luoghi, fiumi, montagne, ecc. in rigoroso ordine alfabetico e con grande approfondimento. Il linguaggio è quello di 150 anni fa (siamo ancora nel Granducato di Toscana) ma affascina ancora oggi. Mont’Amiata e Monte Amiata – Montagna estesa tra le Valli dell’Orcia, della Paglia e della Fiora che alzasi isolata fra i gradi 29° 10′ e 29° 22′ longitudinale ed i gradi 42° 49′ 2 42° m58′ latitudinale, cosicché essa occupa una superficie di circa 108 miglia geografiche quadrate, pari a miglia 121 toscane. Essa montagna conta fra le sue prominenze maggiori e più frequentate da chi sale sulla cima del Mont’Amiata il Masso di Maremma, che si alza nella comunità di Abadia S. Salvadore piedi 5298 sopra il livello del mare Mediterraneo, mentre la sommità del Poggio Pinzi compresa nella comunità di S. Fiora si alza piedi 3567, vale a dire,è piedi 1731 più bassa dell’altro. Avuto riguardo a piccole eccezioni, questa montagna occupa quasi per intiero il territorio di 5 comunità, che abbracciano 139,111 quadrati agrari, pari a circa 174 miglia quadrate toscane, dove nel 1845 esisteva una popolazione di 21,729 abitanti equivalenti a 125 persone per ogni miglio quadrato. Due di esse comunità (l’Abadia S. Salvadore e Pian Castagnajo) sono poste fra maestro e levante. Due altre fra levante e libeccio (Santa Fiora e Arcidosso), e la quinta fra libeccio e maestro (Castel del Piano), tutte 5 comprese attualmente nello stesso compartimento, in quello di Grosseto. Poche montagne del territorio toscano possono dirsi singolari in quanto alla loro fisica costituzione in quanto i due gruppi montuosi che sorgono in due opposte regioni di questa bella parte d0Italia, voglio dire, dell’Alpe Apuana a maestro e il Mont’Amiata a scirocco del Granducato. |
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Cotesto colosso fra i monti della Toscana, detto talvolta Montagna di S. Fiora per esservi stata costà la sede di un ramo de’ conti Aldobrandeschi, può dirsi non solo indipendente dalla catena centrale e dai contrafforti dell’Appennino, ma ancora di una struttura affatto singolare. Avvagnachè se la base settentrionale di cotesta montagna si nasconde ora sotto le crete conchigliari marine, ora sotto la calcarea concrezionata (travertino); se dalla parte orientale la stessa base va ad immergersi sotto conglomerati e sotto un tufo vulcanico; se a proporzione che uno sale verso il pianoro dell’Abadia, di Pian Castagnajo,ecc. ritrova il terreno stratiforme compatto in alcuni luoghi metamorfosato: giunto che uno sia sul pianoro pregiudicato cessano affatto le rocce nettuniane e di deposito e sottentrano le masse trachitiche in rupi immense che continuano sino alla sommità della montagna, vale a dire, in una elevatezza non minore di quella che resta del paese dell’Abadia e di Pian Castagnajo alla pianura della Paglia o dell’Orcia. Ed è appunto in questo passaggio estesissimo de’ due terreni di origine affatto diversa, dove si stabilirono in terre e paesi popolatissimi gli abitanti delle 5 comunità sopra descritte; è nella parte superiore di questa montagna formata, dirò così, a guisa di cupola, è nelle masse trachitiche del Mont’Amiata dove giganteggiano quei famosi castagni descritti dal pontefice Pio II nei suoi "Commentarj"; ai quali castagni sottentrano più in alto foreste immense di faggi. E’ framezzo a coteste masse trachitiche donde sorgono copiose e limpide acque come quelle che danno origine a levante al fiume Paglia, a ostro al fiume Fiora, a libeccio al grosso torrente dell’Ente ed a maestro a quello del Vivo. Nella porzione superiore della montagna, cioè dal pianoro alla sua sommità, non si veggono sodaglie lasciate incolte per magrezza di suolo o per isterilità di vegetazione, essendoché cotesta cupola per ogni lato è vestita di alberi di alto fusto, di arbusti, di erbe pratensi e di seminiagioni di segale. |