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L’Alpicella delle Radici (m. 1708) sovrasta il Passo delle Radici (m. 1527) importantissimo valico posto fra la Toscana e l’Emilia: dalla parte opposta del passo di trova l’ Alpe di San Pellegrino (m. 1700),che sarà mèta di un prossimo itinerario. Raggiunto il Passo delle Radici, parcheggiamo l’auto e prendiamo la carrareccia che si diparte di fronte al Ristorante Albergo Lunardi: questa strada, ben segnalata, coincide in questo punto col sentiero 00 di crinale e ricalca il tracciato dell’ antica Via Bibulca, così chiamata perché l’antico tracciato aveva un’ampiezza tale da consentire il passaggio di un carro tirato da una coppia di buoi. La storia della Bibulca è legata alle vicende che dall’antichità interessarono la valle del Secchia: la zona fu area di insediamento, a partire dal 2000 a. C., dei Friniati, una tribù che faceva parte della popolazione dei Liguri; questi impegnarono i Romani in una lunga guerra prima di venire definitivamente sconfitti nel 175 a. C., come racconta Tito Livio. Durante questa guerra i Romani realizzarono una importante rete viaria che consentì loro di accerchiare i Friniati per poi sottometterli: la successiva colonizzazione ad opera dei legionari romani ai quali, al termine della loro carriera, erano state donate queste terre comportò lo sviluppo di una fitta rete di sentieri tra i quali la Via Bibulca, molto importante perché così larga da permettere in transito di un carro trainato da una coppia di buoi. |
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Nel periodo delle invasioni barbariche questa rete viaria perse la propria importanza perché le popolazioni si spostavano raramente e solo in caso di estrema necessità visti i pericoli che incombevano sui viandanti. Con l’arrivo dei Longobardi si determinò la necessità di ripristinare il sistema viario che consentisse il valico dell’Appennino: il re longobardo Liutprando, nella prima metà dell’ VIII secolo, aprì il valico del Passo delle Radici per poter collegare la montagna modenese, strappata ai Bizantini, con i possedimenti longobardi della Garfagnana. Così riprese vigore anche la Via Bibulca che, tuttavia, conobbe il suo periodo di massimo splendore verso la fine dell’XI secolo con la fondazione dell’Abbazia di Frassinoro per opera di Beatrice, madre della contessa Matilde di Toscana: la strada vide crescere ancora la sua importanza con la costruzione degli ospizi di San Geminiano e di San Pellegrino in Alpe, eretti per assicurare il ristoro, lungo il percorso ormai frequentemente battuto, ai pellegrini ed ai viandanti. Nei secoli che seguirono la Bibulca mantenne la sua funzione di collegamento fra la Toscana e l’Emilia fino a quando nel XVIII secolo non vennero eseguite nuove opere di viabilità transappenninica tra le quali la famosa Via Vandelli che da Modena portava fino a Massa valicando l’Appennino a San Pellegrino e le Alpi Apuane al Passo della Tambura. |
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Oppure la Via Giardini – Ximenes che da Pistoia portava fino a Modena valicando il Passo dell’Abetone (in realtà il paese era chiamato Boscolungo ma venne ribattezzato Abetone perché per far passare la strada venne abbattuto un enorme abete). La Bibulca venne così abbandonata e il percorso escursionistico odierno ricalca l’originaria traccia storica che dalla Valle del Secchia conduceva i viandanti a San Pellegrino in Alpe: anche noi, durante il nostro itinerario ne percorreremo un breve tratto all’andata ed un tratto più lungo al ritorno; infatti al ritorno passeremo dal Rifugio Prati Fiorentini e dalla chiesetta di San Geminiano, sorta nel 1632 nel luogo dove si trovava il famoso ospizio omonimo. Dunque fatta questa interessante riflessione storica, torniamo al nostro itinerario: come detto dal Passo delle Radici ci incamminiamo lungo il sentiero 00 che coincide con la Bibulca: camminiamo per circa 15 minuti fino a quando non incontriamo un bivio bene segnalato; qui dobbiamo lasciare lo 00, che passa sul fianco occidentale dell’Alpicella delle Radici ma che non ci permetterebbe di raggiungerne la vetta data la totale mancanza di sentieri di collegamento e di segnalazioni, per seguire invece le indicazioni per San Geminiano. |
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Camminiamo sull’ampia carrareccia per altri 20 minuti fino a quando non incrociamo la pista da sci che dalla vetta dell’Alpicella conduce ai prati di San Geminiano: a questo punto entriamo nell’ampia pista e andiamo a sinistra per risalirla in tutta la sua lunghezza. Ci portiamo con fatica ai piedi dell’ ampio pianoro che si trova sotto la vetta e infine risaliamo le rocce che ci conducono in vetta all’Alpicella delle Radici (m. 1708); è trascorsa 1,5 h. da quando abbiamo lasciato il Passo delle Radici. La vetta della montagna è immersa in praterie dove fanno bella mostra di sé splendidi fiori di ogni forma e colore e dove risaltano soprattutto le splendide orchidee e i gigli di San Giovanni: il panorama di cui si può godere è veramente spettacolare e spazia da tutte le cime dell’Appennino alla catena delle Alpi Apuane ed è talmente bello che è inutile stare a descrivere quello che si può vedere, bisogna venirci. Al ritorno seguiamo la pista da sci per tutta la sua lunghezza e in 45 minuti arriviamo ai Prati di San Geminiano, area pianeggiante a ridosso del crinale appenninico frequentata già in epoca antichissima come testimonia il ritrovamento di una punta di freccia in selce probabilmente risalente al neolitico. |
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Come già detto, qui nel secolo XI sorgeva un ospizio per i viandanti che percorrevano la Via Bibulca, ospizio citato per la prima volta nel 1105 in un atto di donazione della contessa Matilde di Canossa. Oggi dell’antico ospitale non rimane più niente, anzi a dire il vero nella zona insistono alcune costruzioni di dubbio gusto con grande abbondanza di lamiere, ma esiste invece un piccolo oratorio risalente al 1632 e ricostruito dopo il terremoto del 1900 e recentemente restaurato a cura del Gruppo Alpini di Piandelagotti; nei pressi della chiesetta si trova una freschissima fonte. Lasciamo i Prati di San Geminiano e prendiamo la carrareccia che ci condurrà al Passo delle Radici e che si snoda interamente sull’antica Via Bibulca; l’unica cosa cui stare attenti sono i numerosi crossisti che con le loro moto imperversavano su tutte queste strade: ne ho trovati alcuni perfino sulla Bibulca. E dire che qui siamo all’interno del Parco del Frignano! |
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Da San Geminiano al Passo delle Radici impieghiamo circa 45 minuti che sommati ai 45 necessari per scendere fino qui dall’Alpicella e ai 90 necessari per salire dal Passo alla vetta dell’Alpicella ci danno un tempo totale di escursione di 3 h. Dal libro “Storie e leggende della montagna lucchese” di Paolo Fantozzi edizioni “Le Lettere”, affascinante libro sulle leggende che popolano le montagne della lucchesia – La leggenda di San Geminiano. Secondo la tradizione Geminiano fu diacono del vescovo Antonio e quando questo morì fu designato all’unanimità alla successione. Geminiano non si sentiva in grado di assumere l’alto impegno e fuggì da Modena per sottrarsi alle insistenze dei fedeli. Ma fu raggiunto e i segni della volontà divina furono tali che, uniti alla pressione popolare, lo costrinsero ad accettare l’elezione. Le antiche storie dicono che i suo magistero fu esemplare. Geminiano riuscì a convertire tutta la città al cattolicesimo e la sua fama di presule pio, unita a quella di taumaturgo, lo rese celebre al punto che perfino l’imperatore Gioviano lo volle a Costantinopoli per liberare sua figlia dal demonio. Geminiano partecipò al c concilio dei vescovi dell’Italia settentrionale, tenutosi nel 390 sotto la presidenza di Sant’Ambrogio per condannare l’eretico Giovannino. |
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La morte di Geminiamo viene fatta risalire al 31 gennaio del 397 e sulla sua tomba fu costruita la prima cattedrale modenese per desiderio del suo successore Teodoro. La tomba del santo non fu più aperta fino a quando venne traslata nel Duomo in costruzione. Il 7 e 8 ottobre del 106, presenti il papa Pasquale II, la contessa Matilde di Canossa, l’architetto del Duomo, i vescovi di Reggio e di Modena, il sarcofago fu aperto, ne furono tolte alcune reliquie e il papa consacrò l’altare del santo. – La fuga di San Geminiano. I Prati di San Geminiano sulle pendici settentrionali dell’Alpicella delle Radici, non distante da San Pellegrino in Alpe, prendono il nome da San Geminiano perché il santo, per sottrarsi agli onori che il popolo di Modena voleva concedergli, scappò dalla città e si nascose nella solitudine e nel silenzio dell’Appennino. Ma il suo nascondiglio non rimase nascosto a lungo perché alcuni pastori del luogo si accorsero della sua presenza e il santo fu costretto a tornare a Modena per accettare la sua nomina a vescovo. Prima di lasciare quelle belle praterie, volle mangiare un piatto di insalata: l’aveva seminata il mattino stesso, ma era già cresciuta alta e verdeggiante. Ancora oggi sull’Appennino per dire che qualcosa è successo molto rapidamente si dice che “è come l’insalata di San Geminiano”. |
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Inoltre San Geminiano volle anche che l’acqua della polla che vi sgorgava e che l’aveva dissetato durante tutto quel tempo lo seguisse fino alla pianura. E così avvenne: l’acqua seguì sotto terra la punta del suo bastone dall’Appennino alla pianura, riaffiorando a Cogneto, suo paese natale. Si dice che la prova furono alcune foglie di faggio che risalirono alla superficie assieme all’acqua. Oggi sull’Appennino rimane il piccolo oratorio di San Geminiano la cui fama rimane legata a quella di un antico ospizio che si trovava lì sin dal Medioevo. La prima memoria che si ha di quell’ospizio risale a un diploma del 17 settembre 1038 dove si legge che Bonifacio di Canossa ottenne da Guiberto, vescovo di Modena, diversi orti e beni, fra cui “due pezzi di terra pertinenti all’Ospizio di San Geminiano per i pellegrini dell’ Alpe di Chiazza”. Nel 1105 ci furono contrasti per il possesso di questo Ospizio, ma la contessa Matilde lo prese sotto la sua tutela e lo esentò da ogni giurisdizione dei vescovi di Reggio e di Modena e comandò che nessun vescovo, abate, marchese, conte, o qualsiasi altra persona osasse mai inquietare o molestare quell’Ospizio. NDR Ricordiamo che San Geminiano, patrono di Modena, viene ricordato dal calendario liturgico il 31 gennaio. |