L’Alpe di Pruno


Agostino osserva il panorama

Anche quest’anno sono stato a Collemezzana (vedi itinerario omonimo) a trovare il mio amico Agostino Bartolucci, nipote del “Nonno” della Pania Angiolo Bartolucci: ma non ero solo, perché mi ha accompagnato un amico che ho conosciuto tramite internet e che è un grande appassionato delle Apuane, Luca Coli di Ponsacco. Insieme ad Agostino siamo saliti da Orzale, piccolo gruppo di case poste appena sopra Cardoso, lungo il sentiero CAI n. 7 e in circa 1 h. e 15 minuti siamo arrivati a Collemezzana (quota 767): in un altro itinerario ho tracciato la storia del Nonno e di questa abitazione posta sotto la Pania, per cui non starò a dilungarmi, voglio solo aggiungere che l’ospitalità di Agostino è stata, come sempre, squisita.


  Agostino alla teleferica

A pochi minuti di cammino da Collemezzana, lungo il sentiero n. 124, si trova una fresca sorgente, è quella del Pozzetto (quota750): davanti alla fonte si trovano due grossi faggi ai quali il nostro Agostino ha attaccato un’amaca per riposarsi al fresco; lo scorso anno infatti è stato operato al cuore ed ogni tanto ha bisogno di rilassarsi. Dopo essere arrivati alla fonte abbiamo proseguito lungo il sentiero fino a pervenire a San Rossore, grosso casolare regno della pastora Siria, la quale abita a Malinventre (piccola borgata posta poco prima di Cardoso) ed ha l’ovile sulla strada che da Cardoso conduce a Pruno: ma d’estate lei e il marito conducono qui le pecore all’alpeggio.


Agostino alla Fonte del Pozzetto

La notte le pecore stanno a San Rossore ma il giorno vengono portate a brucare l’erba ai piedi della Pania, sotto il Canale dei Carrubi o verso Mosceta: molti persone che si sono recate a Mosceta o che da qui sono scese verso Collemezzana l’avranno sicuramente notate. La Siria gode di una certa notorietà perché tutti gli anni la notte di Natale, quando a Pruno viene fatta la rappresentazione vivente del presepio, lei e le sue pecore sono fra gli interpreti principali. Anche lei come Agostino, ma come tutte le persone che si incontrano da queste parti, è di grande ospitalità: ci ha offerto la ricotta fresca e con quella abbiamo fatto colazione.


Luca Coli a Collemezzana

Bisogna aggiungere che tutta la zona che va da Collemezzana alla Fania è punteggiata di casolari che un tempo erano tutti abitati: a Cima alla Ripa, località posta a poca distanza da San Rossore, si trova uno spiazzo erboso, una piccola aia; qui, mi ha raccontato Agostino, si riunivano tutti gli abitanti dei casolari sparsi sull’Alpe di Cardoso e venivano fatte feste e balli. Allora era un altro mondo: c’era sicuramente più amicizia e le persone si volevano più bene; bisogna però aggiungere che quassù questi sentimenti non sono andati fortunatamente perduti e quando d’estate i casolari si rianimano riaffiora l’umanità che un tempo caratterizzava questa zona.


Collemezzana

Come non citare la grande amicizia di Agostino con la Siria e il “Pacì”, il di lei marito, oppure con la figlia e il genero (a proposito, li abbiamo incontrati sul sentiero per Collemezzana) di Angè e Lorè (Angela e Lorenzo), i mitici coniugi che abitavano la casa del Cantuccio a Cima alla Ripa: io ne sono stato testimone diretto e devo dire che questa è vera vita, vera amicizia. Dunque lasciati la Siria e San Rossore siamo andati a Cima alla Ripa (quota 800) che è stata regno di Angè e Lorè: sopra la porta di ingresso della abitazione è posta un foto dei due coniugi con la scritta Angè e Lorè, regina e re.


Il mitico Agostino Bartolucci

Agostino mi ha raccontato che è stato Lorenzo ad insegnare al mitico professore Del Freo e ai primi pionieri frequentatori della Pania il luogo dove costruire il rifugio di Mosceta, che sarà poi intitolato allo stesso professor del Freo. Lasciata Cima alla Ripa ci siamo incamminati lungo il sentiero 124 e in pochi minuti siamo giunti alla Fania (quota 905), dove ai piedi di uno dei più grossi faggi di tutte le Apuane di trova il rifugio dell’U.O.E.I. (Unione Operai Escursionisti Italiani) di Pietrasanta e si trova anche una fresca fonte: il faggio è veramente enorme però Agostino mi ha detto che lo scorso anno sono stati tagliati alcuni rami per cui lui ritiene che la pianta abbia patito e che non abbia più di qualche anno di vita; speriamo che non sia vero, ma il nostro Agostino su queste cose sbaglia raramente. Dal rifugio della Fania abbiamo proseguito il cammino sul sentiero 124, ma dopo poche decine di metri abbiamo fatto una deviazione a destra di circa duecento metri: siamo andati nel luogo chiamato la Tomba, ove si trova un grosso casolare circondato da prati. Infatti tutta questa zona che va Collemezzana alla Fania un tempo era tutta coltivata: era la povera agricoltura di montagna, dove dominavano il grano e le patate; ora invece gli alberi hanno preso il sopravvento e si stenta a credere che qui ci fossero tutti campi coltivati.


La famosa conchiglia del Nonno

Poco sopra il casolare della Tomba, ai piedi di un grosso masso, di trova una lapide: questo è il luogo dove i tedeschi il 10 maggio 1945 uccisero barbaramente Angiolo Bartolucci, il mitico Nonno della Pania, vero principe di ospitalità verso tutti, sia che fossero i primi pionieri che frequentavano la Pania o i tedeschi o gli americani. Come mi ha detto il suo nipote, un goccio di latte non mancava mai per chiunque si fosse recato a Collemezzana: trovarsi davanti al luogo dove fu ucciso perché sorpreso a guidare una pattuglia di soldati americani commuove molto; si perché lui aveva guidato qui gli americani perché glielo avevano chiesto essendo un profondo conoscitore della zona, ma vi aveva anche condotto i soldati tedeschi o chiunque altro glielo avesse chiesto.


La Pania da Collemezzana

La storia della sua morte si trova nell’itinerario per Collemezzana, io voglio solo ricordare che insieme a lui perì anche un tenente americano: voglio anche aggiungere che poco sopra la Foce di Valli, nel luogo detto Piton del Soglio, si trova una croce messa lì in memoria del nonno; credo che ci sia passato da questo valico l’avrà sicuramente notata. Dopo essere stati alla Tomba, abbiamo intrapreso il cammino inverso e siamo tornati a Collemezzana: qui siamo stati ospiti di Agostino, che ha acceso il fuoco e vi ha messo sopra il paiolo per preparare la pasta. Dopo aver pranzato siamo tornati a Orzale: diciamo che l’intero itinerario da Orzale per Collemezzana e l’ Alpe di Cardoso con tutti i suoi casolari richiede circa 4 ore di cammino.


La Tomba luogo dell’uccisione del Nonno

Cardoso – Posto a 265 m. s. l .m. il paese è tristemente famoso per l’alluvione che l’ha colpito nel giugno del 1996: in realtà si tratta di un bel borgo, adagiato ai piedi del Monte Forato e conosciuto per la pietra del Cardoso che si estrae dalle due cave poste nelle vicinanze; si tratta di una pietra molto dura di colore grigio – azzurro ( arenaria metamorfica) e di grande pregio che viene prevalentemente usata nelle soglie e davanzali delle abitazioni ( credo che molti ce l’abbiano nella propria casa senza conoscerne la provenienza) e anche nelle pavimentazioni. La chiesa parrocchiale, che non ha avuto danni dall’ alluvione, è dotata di un antico fonte battesimale di notevole pregio. Curiosità – Dato che anche andando in montagna si possono acquisire conoscenze che accrescano la nostra cultura, ritengo fare cosa utile pubblicare quello che afferma su Cardoso il “Dizionario Corografico della Toscana” scritto nel 1855 dal cav. Repetti: si tratta di un libro eccezionale che tratta della nostra regione e dei suoi luoghi in rigoroso ordine alfabetico e con grande approfondimento.


Casa del Cantuccio a Cima alla Ripa

 

Il linguaggio è quello di 150 anni fa (siamo nel Granducato di Toscana!) ma affascina ancora oggi. Cardoso e Malinventre nel Vallone della Versilia – Due casali, già castelli, sotto una sola parrocchiale (Santa Maria), nella comunità e intorno a 2 miglia a settentrione di Stazzema, diocesi e compartimento di Pisa. Siedono entrambi sul fianco meridionale dell’Alpe Apuana a libeccio del Monteforato, fra le rupi marmoree e schistose dell’Alpe suddetta e di quella del Procinto, in mezzo a filoni metalliferi di ferro, e fra selve di castagni, on molto lungi dalla vallecola detta del Cardoso, dove si scavano le lavagne ossia rocce schistose convertite in ardesia. La parrocchia del Cardoso e Malinventre nel 1845 aveva 345 popolani.